La manovra tra poche risorse e ostruzioni

ITALIA. Una manovra che le opposizioni giudicano insufficiente, povera, priva di visione generale, non all’altezza delle sfide che l’Italia ha davanti.

Viceversa, una manovra che la maggioranza difende come «il massimo oggi possibile» con le poche risorse a disposizione, considerando poi che nel 2024 ci sarà da pagare 13 miliardi in più di interessi sul debito pubblico a causa della politica monetaria della Bce, e che sempre l’anno prossimo il superbonus continuerà a pesare sull’Erario per almeno 25 miliardi. Giorgetti aveva avvertito tutti: si potranno fare poche cose. E Meloni aveva aggiunto: dovremo scegliere bene su cosa e come spendere.

Al netto degli attacchi e delle giustificazioni politiche, è probabile che a Bruxelles e sui mercati finanziari la manovra economica varata ieri dal Consiglio dei ministri non sarà considerata sufficiente come garanzia per la tenuta dei conti pubblici e di conseguenza c’è da attendersi una maggiore pressione sui nostri titoli di Stato e una nuova pressante richiesta a Roma di firmare la ratifica del Fondo salva Stati (Mes), e di farlo anche in fretta. La prospettiva, accarezzata da Meloni, di scambiare la ratifica del Mes con regole finanziarie meno stringenti nel nuovo Patto di stabilità sembrano ormai sfumate.

Le decisioni principali sono ormai note: la proroga per tutto il 2024 del taglio del cuneo fiscale (questo però non porterà nulla in più alle buste paga, semplicemente non si tornerà indietro rispetto a quanto è ormai considerato acquisito) e l’anticipo della riforma dell’Irpef con l’accorpamento delle prime due aliquote (si pagherà il 23% di Irpef fino a 28mila euro). Ci saranno gli aumenti per il pubblico impiego, per gli stipendi della sanità e della sicurezza, ma le opposizioni dicono che non è previsto alcun vero incremento a favore della spesa sanitaria («Non è vero - ribatte Meloni - arriviamo al record di 136 miliardi totali di Fondo sanitario di cui 3 destinati ad abbattere le liste d’attesa»). La rivalutazione delle pensioni sarà totale solo per quelle più basse, ridotta di parecchio per quelle più consistenti (salvo nuovi ricorsi alla Corte Costituzionale). Le partite Iva a novembre non dovranno pagare l’anticipo di quello che non hanno ancora incassato ma potranno rateizzare e le aziende che assumeranno giovani, donne, fragili ed ex percettori del Reddito di cittadinanza riceveranno un vantaggio fiscale.

Sono tutti risultati che Giorgia Meloni si può annettere insieme a qualche provvedimento a favore della natalità (asilo gratis a partire dal secondo figlio) mentre Matteo Salvini può mettersi due medaglie: è riuscito a far sforbiciare il canone Rai che sarà pagato in parte dal contribuente con la bolletta elettrica e in parte, pare, con la fiscalità generale: e poi sono stati indicati i fondi per il primo finanziamento del Ponte di Messina. Anche Forza Italia festeggia perché, dice «la manovra reca la nostra impronta». Sarà anche per tutta questa soddisfazione che Meloni ha chiesto ai gruppi di maggioranza di non presentare emendamenti al testo: in sostanza il Governo si premura che la manovra passi l’esame parlamentare esattamente così come è ma è improbabile che accada, a meno che Palazzo Chigi non decida di porre la questione di fiducia come già molti governi hanno fatto (il primo a violare il tabù della modificabilità della legge di Bilancio fu Tremonti nel lontano 2001). Naturalmente le opposizioni non hanno alcuna intenzione di agevolare questo tentativo e, a meno che non siano posti di fronte al muro della fiducia, c’è da giurare che presenteranno una quantità di modifiche al limite dell’ostruzionismo.

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