La nostalgia sovietica che muove ancora Mosca

MONDO. È l’addio della generazione sovietica. Ecco cosa è la tragedia russo-ucraina: l’impossibilità da parte di chi è nato in Urss di accettare che la Superpotenza non esiste più e che il mondo nel 21° secolo è cambiato.

La tradizionale intervista di fine anno a Vladimir Putin non ha riservato sorprese se non per la richiesta di matrimonio di un giornalista alla sua fidanzata in diretta tivù. Un chiaro segnale che i «propagandisti» del Cremlino non sanno più cosa inventarsi per mantenere desta l’attenzione in un Paese stufo di quanto sta accadendo. Con l’aggravante che le grandi aziende e le banche in crisi stanno ora licenziando a tutto andare personale, sacrificato sull’altare di spese militari fuori controllo. È notizia di poche ore fa che addirittura le Ferrovie statali – un tempo una «gallina dalle uova d’oro» che trasportava soprattutto container dalla Cina all’Europa - stanno per vendere un grattacielo nel distretto finanziario della capitale per tentare di colmare 50 miliardi di dollari di debiti.

Nessuna apertura da Putin

Per l’ennesima volta Vladimir Putin ha ripetuto instancabilmente le sue tesi. Di fatto si è arroccato sulle posizioni del novembre 2021, pochi mesi prima dell’inizio dell’«Operazione militare speciale». Nessuna apertura: il conflitto proseguirà anche se, a parole, il Cremlino intende risolvere la contesa diplomaticamente, ma alle proprie condizioni.

L’Occidente si ostina a non comprendere che questa tragedia pericolosissima ha forti connotati psicologici. Ecco perché non si trova la giusta lunghezza d’onda per parlare con Putin.

E qui sta il punto. L’Occidente si ostina a non comprendere che questa tragedia pericolosissima ha forti connotati psicologici. Ecco perché non si trova la giusta lunghezza d’onda per parlare con Putin. L’Ucraina è solamente il campo di battaglia scelto, ma il «leader nazionale» si sta prendendo la sua rivalsa contro l’Occidente. Ma anche contro un mondo che non ha più il Cremlino centro delle decisioni globali, come ai tempi della Guerra Fredda.

Una «lotta esistenziale»

Il problema è che in Russia vi è «un solo uomo al comando» e questi ha fatto dell’attuale conflitto la sua «lotta esistenziale». Smentendo i «tuttologi», a Putin del Donbass non interessa nulla. Alla Russia non serve una regione devastata, piena di mine, in cui sarà necessario investire centinaia di miliardi di dollari. Nella strategia di Putin la Crimea è la piattaforma per mantenere la Russia potenza in Medio Oriente e in Europa meridionale; il Donbass è la «Lombardia» ucraina senza la quale Kiev perde il suo potenziale industriale, oggi distrutto. Insomma, è un dispetto ai vicini, tipico di queste latitudini. Zelensky non può concederlo per questioni militari: quel restante 25% del Donbass in sue mani è difeso da colline che lo rendono una fortezza. Poi da lì iniziano le pianure su cui il maggiore peso dell’artiglieria può fare la differenza. E Kiev non si fida di nessuno, dopo che non è stato rispettato il memorandum di Budapest del 1994 in cui i Paesi occidentali e la Russia si facevano garanti della sovranità ed integrità territoriale dell’Ucraina in cambio delle armi atomiche ereditate dall’Urss.

Il ruolo della Cina

Quale è la soluzione? Parlare a quattr’occhi con Putin senza fronzoli. L’ex cancelliera tedesca Merkel, originaria della Ddr, sapeva come prendere l’ex spia «residente» a Dresda e, per anni, l’ha contenuto. Al momento tuttavia, a parte Donald Trump, non c’è leader occidentale in grado di fare una cosa del genere. I «muzhiki» così si accordano, con una stretta di mano. Per ora Putin andrà avanti finché avrà risorse finanziarie ed economiche. Quando esse finiranno si rivolgerà a Pechino. Quella «sconfitta strategica», che lui accusa gli occidentali vogliano infliggere alla Russia, rischia di subirla dalla Cina.

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