La Polonia alle urne, una partita europea

MONDO. Zelensky, con la visita alla sede Nato, ha voluto assicurarsi l’appoggio degli alleati nelle ore in cui Hamas ha scatenato il conflitto contro Israele.

C’è il timore, da parte del presidente ucraino, che l’attenzione dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, venga tutta dirottata inevitabilmente verso Tel Aviv e Gerusalemme. Uno sguardo altrove obbligato. Questo cambio di fase segue la decisione del Congresso americano di congelare fino a metà novembre aiuti a Kiev per 6 miliardi di dollari. Ma già prima dell’apertura del nuovo fronte militare in Medio Oriente era emerso con una certa insistenza un sentimento di stanchezza, rilanciato con soddisfazione anche da fonti del Cremlino, nei confronti della guerra in Ucraina, lunga e costosa e che ora si carica di ulteriore incertezza. In Italia c’è chi s’è spinto a parlare di «grande gelo» e la stessa Giorgia Meloni ha detto che le «conseguenze del conflitto, impattando sui cittadini, rischiano di generare una stanchezza nell’opinione pubblica».

L’invasione russa era e rimane lo sfondo, pur con diversa intensità, delle tornate elettorali ipersensibili di questi mesi che possono incidere sulla piega futura dell’Europa e sulle garanzie del sostegno alla resistenza ucraina. In questo senso va visto un passaggio intermedio con il voto di domani nella discussa Polonia, l’hub logistico e umanitario di Kiev, il Paese più popoloso e importante del centro-Europa, la frontiera dell’Europa e dell’atlantismo, la prima linea dell’accoglienza ai profughi e degli aiuti economici e militari. Zelensky e Meloni seguiranno con attenzione lo scrutinio, anche se (secondo i sondaggi) non sono previsti terremoti.

Rivediamo le precedenti puntate. In Spagna l’estrema destra, sulla quale si era spesa la premier italiana, ha fatto flop. In Baviera e in Assia la destra radicale ha ottenuto un inquietante secondo posto, dal 14 al 18%. In Slovacchia ha vinto Robert Fico, socialdemocratico populista e filo-russo. Il governo di Varsavia, ultraconservatore e nazionalista, accusato di regressione costituzionale, s’è guadagnato una certa reputazione proprio per la solidarietà incondizionata all’Ucraina, ma ultimamente ha fatto un passo indietro: la quasi crisi del grano con Kiev per proteggere gli agricoltori polacchi, la base elettorale della destra, con minaccia di bloccare l’invio di armi agli ucraini. S’è poi aggiunto un atteggiamento più guardingo di alcuni Paesi dell’Est verso l’allargamento dell’Ue a Ucraina e Moldavia. Preoccupano flussi migratori e costi economici. La Polonia è il termometro più significativo per testare gli umori di realtà percorse da un «distacco mentale» verso le politiche di Bruxelles. Se l’Europa occidentale vede nei propri dirimpettai euroscettici i protagonisti di un arretramento della democrazia, in buona parte delle élites centro-europee cresce il risentimento verso l’Ue con il timbro franco-tedesco, la società aperta e permissiva. Il «ritorno in Europa» degli ex satelliti dell’Urss dopo il crollo del Muro, incamminati verso una storia di successo, era guidato dall’allineamento alla parte occidentale del continente, mentre oggi le forze nazional-populiste cavalcano la retorica dell’Europa delle nazioni.

Un contrasto culturale che nel sistema politico polacco si riflette nell’implosione delle tante anime di Solidarnosc. Un bipolarismo fra destra e centrodestra: partita aperta, campagna elettorale velenosa in una società spaccata in due, con il partito di governo (Diritto e Giustizia di Kaczynski) sfidato dall’opposizione liberaldemocratica (Coalizione Civica dell’ex premier ed ex presidente del Consiglio europeo, Tusk). La Polonia, insieme con l’Ungheria di Orban, il teorico della «democrazia illiberale», è sotto osservazione della Commissione europea per violazione dello Stato di diritto. Ma ora, dopo che l’ex antisovietico di Budapest s’è schierato con Mosca, Polonia e Ungheria restano unite solo nel respingere i migranti che giungono dal Mediterraneo e nel costruire muri. La difesa dell’interesse nazionale, come ha dovuto verificare Meloni.

L’Europa fortezza. Il mito della «rivoluzione tradita» nel post ‘89, quello di una bonifica non sufficientemente radicale verso il passato comunista. La battaglia per ristabilire la «verità storica» contro Russia e resuscitando un’antica ostilità nei confronti della Germania. Per il governo polacco – ha scritto un esperto, Luigi Geninazzi, su «Vita e Pensiero», la rivista dell’Università Cattolica – il campo di battaglia è quello della memoria: «In otto anni di governo la destra polacca si è impegnata a riscrivere la storia, presentandosi come l’unica erede di Solidarnosc contro il “traditore” Walesa, a esercitare un rigido controllo sui mass media di Stato, ridotti a megafono del governo, e a cambiare radicalmente il sistema giudiziario minandone l’indipendenza dal potere politico». Varsavia, tuttavia, non è Budapest: esistono margini di manovra, la società civile c’è, l’opposizione è vivace. Opposizione che a Strasburgo è nella famiglia dei popolari e che vive questo voto come esistenziale, mentre il partito di governo fa parte dell’eurogruppo dei conservatori guidato da Meloni. A Varsavia si gioca dunque una partita che attraversa tutto il centrodestra europeo. Con la premier italiana in mezzo al guado, fra lealtà a Bruxelles e vecchie compagnie. Un cruccio polacco.

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