La svolta del Papa: l’audacia fa scuola

La missione di Papa Francesco in Bahrain ha segnato una svolta. Il piccolo regno del Golfo Persico conficcato in acque strategiche tra le due rive conflittuali dell’Islam politico, rappresenta simbolicamente quella cerniera tra Est ed Ovest dove questioni geopolitiche s’intrecciano con il dialogo interreligioso.

Ma se finora i due piani hanno proceduto per lo più per linee parallele con qualche decisiva occasione di comprensione reciproca come i tradizionali meeting annuali della Comunità di Sant’Egidio, con il viaggio di Bergoglio in Bahrain il senso geopolitico del dialogo religioso ha acquisito una prospettiva definitiva. Bergoglio ha scelto da tempo di non fermarsi sulla soglia dei rapporti, spesso inquinati, tra le nazioni, ma di entrarci, perché nella storia Dio gioca le sue carte senza domandarsi se è bella o brutta, favorevole o sfavorevole ai cristiani. La sua insistenza a voler partecipare ai Forum del dialogo interreligioso senza farsi tante domande sulle motivazioni dell’organizzatore, è il segno della sua convinzione che le religioni debbano entrare nei processi politici, senza paura di sporcarsi i piedi di fango, senza temere di essere colpiti dai detriti di una geopolitica miserevole o perfino di sbagliare.

In Bahrain lo ha fatto al massimo grado dedicando il discorso che ha chiuso il Forum sulla convivenza tra Est ed Ovest non ad una generica esortazione a superare diversità e pregiudizi, ma ad una precisa analisi dell’orlo del baratro su cui il mondo sta ballando, dicendo chiaramente che lui insieme ai popoli della terra non vuole precipitare. Ha superato la soglia, è entrato nei brutti tempi di oggi con parole durissime sui «pochi potenti» che giocano sulla nostra pelle con il fuoco, i missili e le bombe, gioco infantile che non ammette più atteggiamenti indulgenti travestiti da falsa diplomazia, davanti al quale non si può più dissimulare, perché la posta in gioco è l’apocalisse. Ha superato la soglia come fece Angelo Roncalli sessant’anni fa per la crisi di Cuba. Oggi la crisi è più larga e più sanguinosa e dunque occorre più audacia, più franchezza e una teologia, cioè un parlare di Dio, più disposta ad entrare nei dibattiti che non solo analizzano, ma indicano i processi per superarla, prendendosi pure qualche rischio.

L’audacia ha segnato la missione in Bahrain anche sul piano «bilaterale» con il no alla pena di morte, usatissima nel piccolo regno, pronunciato davanti al re a Palazzo reale appena arrivato e con la lezione sulla tolleranza, prevista dalla legge, ma assai poco praticata soprattutto verso la maggioranza sciita e i loro rappresentanti politici.

Il primo discorso in Bahrain è stato un capolavoro, che ha sicuramente stimolato l’Imam di al Azhar, lo sceicco al Tayyeb, compagno spirituale e amico di Francesco, ideatori entrambi della Dichiarazione sulla fratellanza umana firmata ad Abu Dhabi, a dire esplicitamente che anche nell’Islam bisogna cambiare e smetterla con l’odio, le scomuniche verbali e le bombe fraterne, iniziando un dialogo «islamico-islamico serio» in cui fare i conti con le visioni settarie e le accuse reciproche di sedizione e di tradimento. Pronunciare queste parole pubblicamente in mezzo alle sponde roventi del Golfo per via del conflitto mai risolto tra sciiti e sunniti è il segno che l’audacia del Papa sta facendo scuola. Perché sulla guerra come sul confronto religioso come sulla geopolitica che governa malamente la storia ci deve pur essere un altro punto di vista, un lato ancora poco indagato da dove osservare il panorama sgangherato di oggi per cambiarne la politica globale. In Bahrain Bergoglio ha aggiunto un altro capitolo all’impresa.

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