La violenza dei giovani e l’«esempio» degli adulti

ATTUALITÀ. Nelle ultime settimane le cronache ci hanno raccontato una serie di fatti inquietanti: il 29 maggio uno studente di un liceo scientifico di Abbiategrasso ha ferito a coltellate la sua insegnante di italiano.

Il 14 giugno a Casal Palocco, in provincia di Roma, una Lamborghini ha investito una Smart provocando la morte di un bimbo di 5 anni, il ferimento della madre e della sorellina: la fuoriserie era guidata da un ventenne a bordo con tre amici del gruppo «The Borderline», specializzato in challenge (gare sportive) e sfide social; il 19 giugno, un mite ghanese senza fissa dimora che viveva all’esterno di un supermercato a Pomigliano d’Arco, nel Napoletano, aiutando i clienti nel portare la spesa, è stato ritrovato senza vita in strada: attraverso le telecamere posizionate in zona è stato possibile risalire agli autori del terribile pestaggio mortale dell’uomo mentre era a terra, due sedicenni.

Trarre la conclusione che la violenza giovanile è diventata un fenomeno grave sarebbe riduttivo, dettato da un giudizio emotivo. Questa epoca è segnata da un forte disagio tra i ragazzi che trae origine, secondo lo psicoanalista Massimo Recalcati, «dall’indebolimento del desiderio come forza generativa», il desiderio di bene, di giustizia, di ciò che è vero, anestetizzato invece nella stanza chiusa dei social, nella perdita di speranza in un mondo che non ne offre. E qui entrano in gioco gli adulti: la violenza è diffusa soprattutto in questa categoria anagrafica, verbale quando non fisica. Basta trascorrere un po’ di tempo in Facebook per averne consapevolezza: scambi di insulti grevi, commenti cinici a notizie tragiche, confusione fra opinioni infondate e fatti. Tutto è lecito in nome dell’affermazione di se stessi, in una competizione al ribasso. La disumanizzazione del prossimo esce poi dal mondo virtuale per entrare, con un’autorizzazione personale, in quello reale.

Se il controllo sociale che vincolava le comunità nei decenni scorsi aveva aspetti oppressivi, averlo eliminato invece che corretto ha fatto saltare ogni argine: è lecito ciò che decidiamo noi, senza termini di confronto dentro un’idea di bene comune, senza la capacità di distinguere ciò che è lesivo da ciò che è produttivo per tutti e non solo per se stessi. I genitori avvocati o amici dei figli non svolgono un buon compito in questo senso. Il padre del giovane che alla guida della Lamborghini ha investito l’auto uccidendo un bimbo, ha definito l’azione del figlio «una bravata». Il ragazzo che ad Abbiategrasso ha accoltellato la docente dovrà affrontare le conseguenze penali della sua azione e avrà bisogno di aiuto psicologico per guarire dalla pratica della violenza, dall’incapacità di autocontrollo. Il Consiglio d’istituto ha deliberato la bocciatura e l’espulsione dello studente dalla scuola. Ma l’avvocato della famiglia ha annunciato ricorso al Tar perché «il sistema avrebbe dovuto reagire bene, invece quello che passa non è un bel messaggio». C’è sempre un astratto sistema da colpevolizzare. La professoressa accoltellata ha scritto nei giorni scorsi una dolorosa lettera, nella quale spiega senza rancore: «Dispiace sentire minimizzare implicitamente dall’avvocato del ragazzo il dolore fisico che ancora provo, così come, ribadisco, mi è dispiaciuto non ricevere le scuse della famiglia».

Stessa sorte (scuse negate) anche per la docente dell’istituto tecnico di Rovigo contro la quale a gennaio, in classe, due alunni avevano sparato pallini con una pistola. Gli organi collegiali hanno deciso di non far ripetere l’anno agli allievi e di concedere loro nove in condotta. Per lo psichiatra ed educatore Paolo Crepet «quel nove è un capolavoro straordinario della scuola che ha dimostrato così la resa totale. Promuovendo quei ragazzi con quel voto nel comportamento si sono presi in giro non solo gli autori del reato ma anche tutti gli alunni dell’istituto che hanno ricevuto una pessima lezione. Domani qualcuno potrebbe rifare quel gesto». Il punto resta questo: ripristinare gli argini fra ciò che è bene e ciò che è male, fra ciò che lede anche verbalmente la dignità del prossimo e ciò che la garantisce. Ad ogni azione compiuta corrisponde una responsabilità. La libertà senza responsabilità verso noi stessi e verso gli altri non è solo un inganno ma un pericolo.

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