L’appello del ministro e la giustizia strattonata dalle solite divisioni

La ministra Marta Cartabia si appella alla buona volontà di tutti i partiti della maggioranza e chiede di arrivare insieme alla riforma della giustizia, ma il permanente contrasto tra Pd e Lega si ravviva anche su questo argomento complicato e controverso. «Siamo compagni di strada – ha detto Cartabia di fronte ai capogruppo delle commissioni Giustizia di Camera e Senato – non avversari, dobbiamo fare la riforma che ci si chiede e da cui dipende il Recovery Fund: senza di essa sfumeranno non solo i 4 miliardi previsti per questo comparto, ma tutti i 191 miliardi del Piano». L’obiettivo è, in cinque anni, di accorciare del 40% i tempi dei processi civili e del 25% di quelli penali.

È chiaro che quello della Guardasigilli è un appello alla coscienza nazionale dei partiti, ma l’ex presidente della Corte Costituzionale sa quanto la politica si sia divisa nei decenni scorsi sulla giustizia. E sarà un’impresa arrivare ad approvare entro la fine del 2021 le leggi delega per la riforma del processo civile, di quello penale e del Csm. Al ministero è al lavoro una commissione che è già abbastanza avanti con i testi, adesso si tratta di vedere cosa proporranno i partiti. Il punto è che la Lega raccoglierà le firme (insieme al partito radicale) per un referendum sulla separazione delle carriere e sulla responsabilità civile dei magistrati, sulle modalità di elezione dei componenti del Csm e sulla giustizia tributaria.

Salvini giura che non si tratta di una «provocazione contro qualcuno» ma il Pd, con Letta, ne trae spunto per un nuovo attacco ai leghisti: «È un modo per buttare la palla in tribuna e fare propaganda» accusa il segretario democratico che annuncia in settimana le proposte del suo partito. Ancora una volta dunque Letta e Salvini si presentano sulla scena come duellanti in una contesa che è il principale motivo di tensione all’interno del governo Draghi. Ma si tratterà anche di capire cosa farà il Movimento Cinque Stelle: la riforma della prescrizione firmata da Alfonso Bonafede, ex Guardasigilli grillino, a suo tempo provocò feroci polemiche, si disse che avrebbe portato al «fine processo mai»; ora proprio le proposte della commissione insediata da Cartabia fanno dire agli esponenti di Azione che «si sta smantellando la riforma Bonafede», cosa che certo non mancherà di provocare reazioni nel mare ribollente del movimento e delle sue correnti ancora senza una leadership in grado di imporre una linea comune (come ha dimostrato il caso della candidatura a sindaco di Roma in cui Conte ha dimostrato di avere scarsa presa sul movimento).

Conclusione: l’appello di Cartabia rischia di cadere nel vuoto, o meglio: di perdersi nella solita divisione tra garantisti e giustizialisti. Anche Forza Italia, per esempio, torna a insistere per la limitazione del potere dei pm chiedendo che sia loro inibito l’appello in caso di assoluzione in primo grado e che sia garantito un miglior equilibrio tra accusa e difesa nel processo. Da quel che si capisce la commissione ministeriale si muove proprio su una linea di questo tipo cercando però un compromesso accettabile per tutti. E forse la condizione di grande debolezza e sbandamento delle rappresentanze dei giudici in questo periodo (scandalo Palamara, caso Davigo-Amara, presunta «loggia» Ungheria, ecc.) potrebbe lasciare la politica più libera e meno condizionata nel riformare una materia su cui viceversa i giudici hanno sempre fatto pesare moltissimo il loro parere e, spesso, i loro veti. Valga per tutti il caso della separazione delle carriere, un principio diffuso in tutti i Paesi europei tranne l’Italia, uno dei tanti motivi che lasciano sconcertati gli investitori internazionali che pure guarderebbero con interesse al nostro Paese.

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