Le sanzioni alla Russia, gli imbarazzi italiani ma il Governo tira dritto

Anche se sull’Ucraina la posizione europea è unanime e compatta, ogni Paese membro ha i suoi problemi interni da risolvere quando si discute di sanzioni alla Russia. Anche perché come è noto, le sanzioni possono colpire non solo chi le riceve ma anche chi le infligge, e noi italiani da questo punto di vista siamo particolarmente esposti con Mosca: dipendiamo da Gazprom per la maggior parte delle nostre forniture di gas e siamo fra i primi tre partner commerciali del regno di Putin con una bilancia permanentemente a nostro favore. Le nostre imprese esportatrici hanno pagato non poco le precedenti sanzioni dovute all’occupazione della Crimea.

Ecco perché le prime dichiarazioni di Draghi sulle ritorsioni sono state particolarmente caute, al punto da chiedere che venga escluso da esse il settore energetico. Parole che sono state duramente criticate dagli americani, da ambienti vicini alla Casa Bianca e dai grandi giornali d’Oltreoceano: il Wall Street Journal non più tardi di ieri accusava Roma di «tiepidezza». Non sarà un caso allora che le ultime dichiarazioni del premier - ieri a Firenze al convegno sul Mediterraneo e martedì al Consiglio di Stato - non abbiano più toccato il tema gas e si siano espresse con l’attesa nettezza sul riconoscimento delle Repubbliche filorusse e sui rischi di invasione dell’Ucraina.

Stessi toni usati dal ministro degli Esteri nelle comunicazioni al Senato, al punto che Di Maio ha escluso nuovi possibili incontri bilaterali italo-russi (che mette in forse anche il ventilato summit Draghi-Putin mai entrato in agenda). Le parole del capo della nostra diplomazia hanno provocato una reazione decisamente sopra le righe del ministero degli Esteri russo che, neanche troppo velatamente, ha accusato Di Maio di essere un inutile dilettante uso a viaggiare «per assaggiare piatti esotici» piuttosto che per risolvere problemi e sciogliere tensioni internazionali.

In questo quadro, la maggioranza torna a dividersi. Mentre il Pd non ha dubbi sulla parte da scegliere, la posizione più contraddittoria è quella di Matteo Salvini. Proprio mentre Di Maio parlava in Senato, Salvini saliva al Quirinale per un colloquio di cortesia con il Capo dello Stato ma durante il quale ha espresso a Mattarella tutte le sue riserve sulle sanzioni contro la Russia considerate come l’ultima delle soluzioni. Il leader della Lega non ha mai nascosto la sua linea di autentico ammiratore di Putin (si ricorderanno le polemiche sui suoi viaggi a Mosca e le inchieste sull’attività dei collaboratori dalle parti del Cremlino), inoltre nel 2014 appoggiò apertamente il separatismo del Donbass e della Crimea («La Lega appoggia l’autodeterminazione dei popoli») incontrandone i leader. Oggi Salvini deve un po’ barcamenarsi tra le cose che ha sempre detto e quelle che può dire da leader di un partito di governo di un Paese Nato, e anzi di un governo che ha dovuto parare alcune critiche di essere non sufficientemente intransigente nel difendere l’integrità e l’autonomia della Ucraina.

Anche il M5S ha sempre avuto al proprio interno una corrente filo-russa (e filo-venezuelana: ieri Maduro era a Mosca) ma Conte ha detto chiaramente di appoggiare «un inasprimento delle sanzioni sia pure tenendo conto dei nostri interessi nazionali». La «gradualità» delle sanzioni è invocata da Forza Italia il cui leader Berlusconi, come è noto, è amico personale del presidente russo.

È da escludere tuttavia che queste tensioni politiche interne abbiano una qualche influenza sulla linea del governo, decisamente agganciata - sia pure dopo un breve tentennamento - a quella dell’Europa, degli Usa e della Nato.

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