L’Europa non può più stare a guardare

La guerra si è trasferita di colpo alle Nazioni Unite, l’ente finora più inutile e assente rispetto all’atroce guerra in Ucraina e all’ipotesi di una soluzione diplomatica. Il presidente Zelensky è intervenuto a distanza, ma da par suo. Denuncia la pigrizia dell’Onu, chiede una conferenza internazionale per riformarlo, chiede un «processo di Norimberga» per politici e generali russi coinvolti nelle stragi di civili, denuncia altri casi di massacro di civili nel suo Paese e persino torture sui bambini. Poco succederà nel corpaccione delle Nazioni Unite, il cui Consiglio di Sicurezza è paralizzato dai veti incrociati di Usa e Regno Unito da un lato, Russia e Cina dall’altro.

Non v’è dubbio, però, che le immagini arrivate da Bucha abbiano impresso una scossa non solo all’opinione pubblica, ma anche a un assetto internazionale che sembrava un po’ fossilizzato nello sdegno, quasi abituandosi al dramma in corso. Ursula von der Leyen, presidentessa della Commissione europea, annuncia che andrà a Kiev, buona ultima tra i politici europei di un qualche rango. Centocinquanta diplomatici russi sono stati espulsi in un giorno da diversi Paesi e dalla Ue, e benché il nostro ministro degli Esteri Di Maio parli di «ragioni di sicurezza» (erano spie, insomma) risulta difficile non collegare il provvedimento con i fatti di Bucha.

E poi è stato rotto il tabù degli approvvigionamenti energetici, poiché la Ue ha deciso di non importare più carbone dalla Russia. È un inizio, che tocca soprattutto Polonia e Germania per il carbone metallurgico, ma per il petrolio e il gas ci vorrà ben altra volontà politica, oltre che strumenti efficaci per convincere Paesi come la Germania, l’Austria, la Repubblica Ceca o l’Ungheria del trionfante Orban, sempre attento a non scontentare né la Ue né la Russia.

Per non parlare, poi, di ciò che bisognerà dire ai cittadini consumatori ed elettori, che nella ricerca di fornitori alternativi alla Russia (ricordiamolo, per il gas si parla di 155 miliardi di metri cubi l’anno su scala europea) dovranno sicuramente pagare un prezzo.

Di fronte a tutto questo, la risposta russa è stata oggettivamente debole. Debole in maniera sospetta. Non pensiamo alle schermaglie procedurali in sede Onu, irrilevanti. E nemmeno alle espulsioni dei diplomatici, cui il ministero degli Esteri russo non mancherà di rispondere da par suo. Pensiamo a Bucha, ormai epicentro anche morale di un’accusa di stragismo che passa per i missili sugli ospedali, le bombe sui palazzi, le violenze sui civili. Rispetto alle immagini dei cadaveri riversi in strada i russi hanno pasticciato. Prima dicendo che non erano cadaveri, che era tutta una messa in scena. Poi dicendo che sì, erano cadaveri ma che erano stati ammazzati dai servizi segreti ucraini. Qualche video per sollevare dubbi, il gioco sulle date: quando c’erano le truppe russe, quando ha parlato il sindaco. Nulla che possa competere con le foto satellitari, le testimonianze, soprattutto le sconvolgenti immagini che hanno fatto il giro del mondo. Colpisce, tra l’altro, che da parte russa non sia stato prodotto alcun video tra gli infiniti che, senza dubbio, saranno stati girati con i telefonini dai soldati. È vero, i soldati russi (con l’eccezione dei ceceni, che fanno quel che vogliono) hanno divieto di social, ma in una situazione come questa i filmati «a discolpa» dovrebbero spuntare come funghi.

Un’altra affermazione delle autorità russe è che lo scandalo di Bucha è creato ad arte per le trattative di pace. È chiaro che ci sono Paesi come Usa, Regno Unito, Polonia, Baltici, che ora sperano nel crollo definitivo del sistema putiniano, gravato dal peso (sanzioni, spese di guerra, scontento della popolazione) dell’insensata svolta bellica. Ma non è una novità. E ora questo conta poco, ora conta solo capire che cos’è successo a Bucha e forse, come dice il presidente Zelensky, anche in molti altri luoghi. È necessaria un’indagine internazionale e indipendente che faccia piena luce sui fatti. Perché se fossero confermati, l’attuale dirigenza russa dovrebbe assumersene la responsabilità politica e difficilmente avrebbe ancora autorevolezza sulla scena internazionale. E l’indagine serve anche perché, da Grozny ad Aleppo, da Fallujiah a Raqqa, abbiamo visto troppe volte succedere due cose: civili che muoiono e provocatori che rimestano tra i cadaveri. Si dice sempre che questa è una guerra in Europa, come per dire che è più grave e pericolosa delle altre. Dimostriamo, allora, che ne siamo consci e che sappiamo fare qualcosa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA