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Esteri. È il leader che al mondo più si è speso per riannodare i fili di un negoziato e porre fine al conflitto. Il 25 febbraio scorso Papa Francesco si recò a colloquio nella sede dell’ambasciata di Mosca presso il Vaticano. All’alba le truppe russe avevano iniziato l’invasione dell’Ucraina.
L’impegno a mediare è proseguito nei tragici mesi successivi, fino ad offrire un luogo della Santa Sede dove aprire un confronto tra i contendenti. Il dialogo però non può avvenire a discapito della realtà, che è invece il punto di partenza. Nell’intervista a una rivista dei Gesuiti, Bergoglio non ha solo offerto la disponibilità del Vaticano alla mediazione, ma ha detto che «certamente chi invade è lo Stato russo» e che gli ucraini sono «un popolo martoriato». Un’evidenza. Mosca dapprima ha accolto «con favore la volontà politica» del pontefice di aprire una trattativa, salvo poi attaccarlo dopo aver letto l’intervista integralmente. In particolare non è piaciuto il passaggio nel quale il Papa afferma: «Ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano. In genere, i più crudeli sono forse quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i buriati e così via». La reazione a più alto livello è arrivata ieri, quando il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, durante una conferenza stampa a Mosca, ha replicato riferendosi a Francesco: «Ha fatto delle dichiarazioni non cristiane» sulle atrocità commesse in particolare da membri delle due nazionalità russe. Il diplomatico di lungo corso dovrebbe guardare in casa propria, a quel Patriarca Kirill che ha benedetto l’aggressione dell’Ucraina in nome di una guerra «santa» e ha invitato i suoi connazionali spaventati dall’invio obbligato al fronte a «non avere paura di morire per una causa giusta, saranno lavati loro tutti i peccati». Il capo della Chiesa ortodossa russa esprime un «cristianesimo» oscurantista e piegato all’ideologia imperiale dello Stato.
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