
(Foto di Ansa)
MONDO. In questo mondo post-globale tutto si fa complicato, anche esprimere un giudizio definitivo sull’avventura divisiva della Global Sumud Flotilla, il gruppo di imbarcazioni dirette a Gaza intercettate dalla Marina israeliana a poche miglia dalla Striscia.
Premessa indispensabile, a scanso di equivoci: i pacifisti avrebbero dovuto ascoltare l’appello di Sergio Mattarella. Il capo dello Stato li aveva invitati ad approdare nell’isola di Cipro per consegnare gli aiuti che recavano a bordo (farina, biscotti, generi alimentari, medicinali, protesi ortopediche) a operatori del Patriarcato latino di Gerusalemme, che li avrebbe fatti arrivare attraverso un canale della parrocchia presente in quel martoriato territorio, allestito sotto la regia del Cardinale Pizzaballa, in accordo con il Cardinale Zuppi. Una soluzione seria. Avrebbe assicurato la consegna degli aiuti alla popolazione gazawa (al momento non sappiamo che fine faranno) e preservato l’incolumità degli equipaggi, che andavano incontro a rischi enormi.
La nave da guerra della Marina Italiana inviata dal ministro della Difesa Crosetto ha protetto certamente la Flotilla da attacchi di droni, come era avvenuto nei giorni scorsi, ma non avrebbe potuto fare molto una volta entrati nelle acque controllate da Israele (appartenenti alla Palestina a norma del Diritto internazionale, ma solo sulla carta: alla forza il diritto non interessa). Era la scelta più saggia, perché la salvezza della vita umana ha la priorità su tutto, anche se la missione della Flotilla merita ammirazione per il coraggio, la radicalità evangelica, e gli ideali di pace e umanità che trasportava con gli aiuti.
Era la scelta più saggia, perché la salvezza della vita umana ha la priorità su tutto, anche se la missione della Flotilla merita ammirazione per il coraggio, la radicalità evangelica, e gli ideali di pace e umanità che trasportava con gli aiuti.
Anche i cattolici si sono divisi. È stato detto che è un’azione che richiama la «Marcia dei 500» del 1992, cui aveva partecipato anche don Tonino Bello, allora presidente di «Pax Christi» Italia. L’arcivescovo di Genova, monsignor Marco Tasca, domenica li aveva invitati ad andare avanti, perché «è necessario un segno contro l’indifferenza, contro l’assuefazione alla guerra». Non solo aiuti e medicine dunque, ma anche una sfida politica e morale. Perché va affermata la priorità del diritto sulla forza. Perché quella devastazione, quella strage di innocenti va fermata. Del resto bastava dare un’occhiata alle imbarcazioni, pavesate di bandiere palestinesi, non certo di vessilli della Croce rossa, per capire che non si trattava solo di aiuti. Va anche detto che lo scopo dei pacifisti era anche quello - decisamente provocatorio - di mettersi in sintonia con le manifestazioni «pro-pal» che si svolgono nelle piazze d’Italia.
Se la maggioranza che scende in piazza, lo fa per cercare di fermare la strage di palestinesi in atto, del tutto sproporzionata rispetto alla strage del 7 ottobre, l’impressione è che spesso la protesta si mescola all’uso politico della causa, quando non diventa addirittura violenza, in un clima di odio che genera altro odio, un’equazione vecchia quanto il mondo, che continuiamo a fingere di non capire.
Si può criticare quanto si vuole il governo per la sua politica nei confronti di Israele e del genocidio in atto, ma bisogna dargli atto che non ha assistito i pacifisti semplicemente inviando una nave da guerra. Forse si è sottovalutata l’azione diplomatica del ministro degli Esteri e dei servizi segreti, il lavorio sotterraneo di raccordo con le autorità israeliane per scongiurare il peggio. Ricordiamoci che l’ormai famigerato ministro israeliano della sicurezza Gvir aveva definito i membri della flottiglia «terroristi» e l’Idf aveva diffuso più di un rapporto per insinuare rapporti della rete di imbarcazioni con Hamas. E sappiamo cosa fa l’Idf quando sostiene che dentro un mezzo, un’ambulanza, o un edificio possa nascondersi un terrorista. Il lieto fine non era affatto scontato e il governo italiano è riuscito ad evitarlo.
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