L’Italia in difficoltà
dà il meglio di se stessa

Per aver successo il talento a volte non basta. Ci vuole fortuna. E all’Italia, quest’anno, non manca l’aiuto della dea bendata. È una congiunzione che il tribolato 2021 trasforma in occasione. Il contenimento ordinato della pandemia è il primo successo: non vi sono state chiusure e aperture selvagge, all’esterno viene trasmesso un senso di stabilità. Per chi ha avuto modo di andare all’estero, sa quanto sia stata apprezzata l’Italia. Niente allarmi ingiustificati, nella percezione che la pandemia c’è, ma è sotto controllo.

Chiedere a Spagna, Grecia, Francia e Portogallo cosa vuol dire. Anche sul fronte interno si coglie una voglia di ripartire che si riflette sul prodotto interno lordo. Le previsioni danno una crescita superiore al 6%, il tasso più alto in Europa.

Sul piano internazionale il G7 e il G20 hanno ribadito l’ancoraggio italiano all’alleanza atlantica e la determinazione dell’Italia ad affrontare il cambiamento climatico. Per il capo del governo italiano la questione libica è centrale. Il suo primo viaggio all’estero è stato a Tripoli. Dopo anni di umiliazioni, per la diplomazia di Roma sembra finalmente apparire una luce, se pur lontana, in fondo al tunnel. A livello europeo, con Angela Merkel sulla via del tramonto, è Mario Draghi ad occupare la scena. Una centralità sulla ribalta internazionale che il Paese non viveva da anni. Il tutto con un debito al 150% del Pil e la reputazione di malato cronico d’Europa.

Ma le crisi possono diventare opportunità se si mostra una guida sicura. Guardiamo all’Afghanistan. Dopo vent’anni gli Stati Uniti si ritirano, ma corrono il rischio di lasciare in mano ai talebani migliaia di collaboratori afghani. Senza il loro aiuto i contingenti dei vari Paesi mai avrebbero potuto lavorare e combattere il terrorismo.

Nella fuga caotica da Kabul emerge però la prontezza di reazione degli italiani. In Germania piangono sui ritardi della loro delegazione, sulla pachidermica lentezza nel percepire la portata del pericolo talebano e la dissoluzione dell’esercito afghano.

All’ambasciata italiana si sono mossi per tempo ed hanno evacuato il personale di terra senza frenesie. Adesso sul campo è rimasto Tommaso Claudi a curare l’evacuazione dei collaboratori afghani e delle loro famiglie. Trent’anni, laurea double degree italo-tedesca alla Cattolica di Milano e alla Martin Luther Universität di Halle, Claudi è in diplomazia da pochi anni: come sempre succede ai principianti, era stato mandato nelle sedi considerate disagiate per farsi le ossa. Una vita non proprio facile, in una Kabul assediata dai talebani. Ma quando l’ambasciatore e il personale d’ambasciata vengono ritirati su disposizione del ministero degli Esteri, lui – console – resta. È incaricato d’affari ed ha il compito di coordinare, con le altre ambasciate e con le autorità militari americane, la fuoriuscita ordinata dei civili afghani e quindi l’accesso all’aeroporto. Compito non facile che però sembra portare risultati.

Barba lunga, aspetto tribolato, elmetto in testa, il trentenne giovane diplomatico si trova alla testa della rappresentanza diplomatica più esposta del pianeta. È un destino non cercato, ma la fortuna vola là dove trova spalle solide a sostenere il peso degli eventi. E così Tommaso Claudi diventa la proiezione del suo Paese, circondato come lui da problemi che appaiono a volte irrisolvibili e che tuttavia diventano, in mani capaci, occasioni irrepetibili di affermazione. A suo tempo Federico II di Prussia l’aveva capito. Nulla avviene per caso. Il talento senza fortuna è sprecato. Ma la fortuna va là dove sono gli audaci.

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