L’Italia orfana di Draghi alla continua ricerca della stabilità perduta

Il commento. Non conosciamo ancora le carte in mano ai competitori delle prossime elezioni politiche. Sappiamo però quale posto occupano al tavolo di gioco. Sono molte le novità di questa sfida. Innanzitutto, è cambiata la forza elettorale accreditata dai sondaggi a ogni gruppo politico. Salvo il Pd che ha mantenuto grosso modo le sue posizioni, tutti gli altri partiti accusano grandi cambiamenti percentuali. FdI ha letteralmente quintuplicato la sua forza. Al contrario, il M5S l’ha diminuita di due terzi, FI della metà, la Lega di un terzo.

Non meno rilevanti sono i cambiamenti intervenuti nell’indirizzo politico e nel sistema delle alleanze. Se prima la nota dominante era la protesta contro la casta, l’establishment, l’Europa, ora i partiti tutti hanno preso atto, certo in diverso grado, che una classe politica di qualità fa la differenza, che senza i miliardi dell’Ue l’Italia sprofonda, che senza la Nato siamo persi di fronte all’espansionismo russo. Sono saltati nel frattempo anche gli equilibri politici. A destra si sono invertiti i rapporti di forza. Quattro anni fa erano la Lega e FI a disputarsi la leadership. Oggi appare scontato che l’investitura a premier toccherà alla Meloni. A sinistra, è tramontata l’idea di costruire il famoso «campo largo»: Letta si trova a corto di alleati. È riuscito a malapena ad aggregare i radicali della Bonino e la frangia dell’estrema sinistra capitanata da Bonelli e Fratoianni.

Ultima novità di queste elezioni è l’ingresso in campo di un terzo polo. A dire il vero, un terzo incomodo tra destra e sinistra aveva già fatto il suo ingresso sul palcoscenico politico. I grillini, forti del loro 32%, in questa legislatura sono stati la forza politica che ha condotto i giochi, decidendo di volta in volta se allearsi con la Lega o con il Pd. Avvalendosi della loro auto-collocazione fuori della destra e della sinistra, potevano fungere da virtuale centro. Tuttavia, strada facendo, hanno perso il loro ruolo strategico. Oggi, con un incredibile mossa di riposizionamento, rivendicano di essere la vera sinistra, con l’ambizione addirittura di proporsi come punto di aggregazione di tutti i progressisti. Da colore neutro, che erano, sono diventati rossissimi.

Chi ambisce oggi a diventare l’ago della bilancia di qualsiasi maggioranza, sempre che nessuno dei due poli esca vincitore dalle urne, è il raggruppamento nato dalla fusione di Italia viva e Azione. Sono stati molti in passato a coltivare l’idea del terzo polo, riferimento dei moderati, dei liberali, dei riformisti, ma sempre con poca fortuna. Renzi e Calenda sono convinti invece che questa sia l’occasione d’oro da non perdere. Sostengono che esista una grande domanda di centro che aspetta solo di trovare un imprenditore politico capace di proporre un’offerta adeguata e credibile. Con quali argomenti? Semplice. L’Italia dopo Draghi si sentirebbe orfana di Draghi. Fuor di metafora, una fetta corposa di opinione pubblica, soprattutto appartenente alla classe dirigente, avrebbe apprezzato grandemente il suo stile di governo che ha rotto con la retorica del populismo e del pressappochismo. Reclamerebbe un premier autorevole, rispettato in Europa, fattivo nell’attuazione degli adempimenti richiesti da Bruxelles per ricevere i miliardi del Pnrr. Più ancora che la sua agenda (rigore della spesa, interventi di sostegno all’economia senza scostamenti di bilancio, costruzione di rigassificatori e termo-utilizzatori, recupero del gas presente nell’Adriatico, nucleare di quarta generazione) vorrebbe che fosse riproposto un modo di governare fatto non più di promesse generose, ma irrealizzabili, bensì di scelte ispirate al senso dello Stato, al valore della responsabilità, della competenza; in una parola, all’etica non più del promettere e non fare o solo del fare sotto schiaffo dei sondaggi e dei calcoli elettorali.

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