Lo sceriffo De Luca e il suo vero avversario

ITALIA. A Roma non si erano mai visti settecento sindaci e un presidente di Regione a rischio di essere caricati dalla polizia sotto le finestre di palazzo Chigi.

E invece proprio questo è successo ieri alla manifestazione indetta dal fumantino governatore della Campania Vincenzo De Luca contro l’autonomia differenziata della riforma Calderoli e contro il blocco dei sette miliardi destinati alla Campania che il governo ha determinato. Manifestazione rumorosa pur nella sua «ufficialità» visibile dalle centinaia di fasce tricolori indossate dai sindaci, e manifestazione destinata a finire nel disordine: la polizia aveva l’ordine di impedire ai sindaci e ad un De Luca furibondo («Non ci fate passare? E allora ci dovete caricare, anzi ci dovete uccidere! Uccidere ci dovete!») di entrare nella piazza di palazzo Chigi fino a raggiungere il portone della Presidenza per la ragione che nessuno del governo aveva accettato di ricevere i manifestanti, ancorché rappresentanti di istituzioni locali e di una intera regione.

Del resto la manifestazione era stata preceduta da uno scambio di insulti sempre più pesanti tra i due fronti contrapposti. E siccome in corso di giornata Giorgia Meloni è tornata sull’argomento mentre si trovava in Calabria (guarda caso, insieme ad un altro governatore e ai sindaci) invitando De Luca - ancorché non nominato – «ad andare a lavorare più che a manifestare», la reazione del viceré campano è stata irripetibile («Vai a lavorare tu, str…») e unanimemente stigmatizzata come eccessiva e volgare. Anche Elly Schlein (De Luca la chiama irriverentemente «Elena») ha preso le distanze sia dalla manifestazione, ignorandola, sia dalle parole del suo compagno di partito, apertamente detestato.

Già, perché anche De Luca, come Zaia, Bonaccini, Emiliano, ed altri governatori sia di maggioranza che di opposizione, ambiscono al terzo mandato trovando sia Meloni (per ragioni salviniane) sia Schlein (per la sua personale «rottamazione» della vecchia guardia) concordi nel dire no, non si può fare. E così De Luca spara alzo zero contro entrambe. Ma forse soprattutto contro la seconda, la «sua» (?) segretaria di partito.

È probabile che l’ex sindaco di Salerno, colui che viene affettuosamente nominato «lo sceriffo» e che è noto per i modi spicci, la battuta tagliente e la ferrea gestione del potere, abbia cominciato a coltivare sogni di gloria nazionale. In queste settimane lo si vede poco a Napoli, nella sede della Regione: è piuttosto in giro per l’Italia per presentare il suo libro il cui titolo è tutto un programma: «Nonostante il Pd» in cui le invettive contro i democratici suoi avversari, considerati dei poveri incapaci, sono più numerose di quelle destinate agli esponenti del centrodestra, definiti direttamente dei delinquenti farabutti.

E così ad un insulto al ministro Fitto – colpevole di aver bloccato i sette miliardi di fondi di coesione destinati alla Campania - corrispondono almeno tre contumelie verso chi tra i «dem» si permette di sbarrare la strada al focosissimo governatore che per la sua verve ha fatto la fortuna delle imitazioni di Maurizio Crozza.

Una cosa è sicura: nel dopo elezioni europee, quando la segretaria Pd conterà i voti raccolti e sulla base di quelli si preparerà ad affrontare il dibattito interno, dovrà confrontarsi sì con Paolo Gentiloni, che ha annunciato di non volersi ricandidare a Bruxelles e di voler tornare alla vita di partito, ma anche con De Luca che farà pesare il suo potere e i suoi voti non solo in Campania (dove è stato rieletto con percentuali intorno al 70%) ma in tutto il Sud.

© RIPRODUZIONE RISERVATA