Naufragi e rimpatri, il volto duro dell’Europa

MONDO. «Non c’è nulla di naturale in queste morti: sono il prodotto di una politica che nega vie legali di fuga e lascia che il mare diventi un tribunale senza giudici». Così scriveva, ormai una decina di anni fa, ma potrebbe essere oggi, Alessandro Leogrande, profeta del nostro tempo.

In quella sterminata frontiera che è il Mediterraneo, il 22 ottobre, si è consumato l’ennesimo naufragio: 40 persone annegate al largo delle coste tunisine, tra loro c’erano dei neonati. Come in tutte queste tragedie marine - che dal 2014 a oggi hanno visto la morte di 32.803 persone, oltre 2.700 all’anno, una guerra - si parla essenzialmente di numeri. Così come erano numeri, sui giornali e sulle tv europei, i «circa» 60 sudanesi morti il 14 settembre al largo della Libia nel loro barcone andato a fuoco. Niente nomi, solo numeri, svaniti in fondo al mare. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom) si tratta di stime al ribasso, perché molti episodi non vengono nemmeno segnalati. Il sito della Iom tiene una macabra contabilità di queste scomparse. Da gennaio di quest’anno ne ha contate 1.328, 77 i bambini. In tutto il Mediterraneo, è il settore centrale, quello che bagna le nostre coste, a registrare il maggior numero di vittime di naufragio: dal 2014 sono state 25.480, nel Mediterraneo occidentale sono state 4.494, mentre nel Mediterraneo orientale 2.829.

Nel frattempo l’Europa che fa? L’Italia dal 2017 ha stretto un accordo con la Libia, dove le organizzazioni internazionali denunciano gravissime violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti subsahariani, detenuti in centri di detenzione e sottoposti a ricatti e torture. In base a questo accordo, sempre secondo la Iom, solo nel 2024 sono stati intercettate in mare e riportate in Libia 17mila persone.

«Dobbiamo rendere il Mediterraneo una strada nella quale accompagnarli con le navi provenienti da tutta l’Europa. La parola chiave è accompagnamento, e dovrebbe esserci un piano europeo di accompagnamento»

Voci come quella di monsignor Giancarlo Perego, presidente della commissione Cei per i migranti, rimangono isolate: «Dobbiamo rendere il Mediterraneo una strada nella quale accompagnarli con le navi provenienti da tutta l’Europa. La parola chiave è accompagnamento, e dovrebbe esserci un piano europeo di accompagnamento» ha detto l’arcivescovo di Ferrara. Ma la parola chiave, per ora, è solo una: respingimento.

Senza gli eccessi da cowboy, anche la vecchia Europa sembra condividere la visione della fortezza «ripulita» che promuovono, oltreoceano, i più fedeli interpreti del pensiero Maga

Pochi giorni fa, 20 Paesi europei (tra cui Italia e Germania) hanno indirizzato una lettera al commissario Ue per gli Interni Magnus Brunner e all’Alta rappresentante Kaja Kallas. I ministri firmatari sottolineano che «la presenza di cittadini afgani irregolari nell’Ue richiede un approccio coordinato», ribadendo la necessità di «gestire i casi di chi non ha diritto» di restare. Si propone un «rimpatrio ordinato, dignitoso e sicuro delle persone», in un Paese il cui governo non è riconosciuto dall’Onu e da nessuno Stato occidentale, dove discriminazioni, carcerazioni ed esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno. Senza gli eccessi da cowboy, anche la vecchia Europa sembra condividere la visione della fortezza «ripulita» che promuovono, oltreoceano, i più fedeli interpreti del pensiero Maga, come la segretaria della Sicurezza interna Kristi Noem e gli zelanti funzionari della Ice, l’U.S. Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia che si occupa della detenzione e espulsione dei migranti irregolari.Eppure nel 2015, solo dieci anni fa, la Germania di Angela Merkel decise di aprire le frontiere ai migranti della rotta balcanica, 800mila persone, nel nome di quella Willkommenskultur (la cultura dell’accoglienza) che non fece mai breccia nel resto del Continente.

L’integrazione dopo il piano Merkel

Poteva essere un movimento contagioso (anche perché gran parte dei migranti riuscì ad integrarsi e la Germania scoprì per davvero un’attitudine alla fratellanza estesa che cambiò la percezione del Paese). Invece fu solo una tappa, o meglio, un inciampo, nel processo di isolamento dell’Europa e dello scivolamento del pensiero moderato, incalzato dall’onda crescente del populismo di estrema destra (vedi alla voce Afd in Germania), verso posizioni sempre più rigide. Così oggi è il governo di Christian Merz, che è della Cdu come Merkel, a rimandare indietro quegli afgani che dieci anni fa erano stati accolti (ma d’altro canto il primo a effettuare rimpatri fu il socialdemocratico Olaf Scholz). La spiegazione tedesca è che si tratta di persone che hanno ricevuto condanne penali e ordini di espulsione. Ma davvero basta come giustificazione per rinunciare al diritto internazionale? E per venire a patti con l’emirato, riconoscendo così una sua dignità politica? Scriveva sempre Leogrande: «Ogni volta che un barcone affonda nel Mediterraneo, muore anche un pezzo della nostra memoria». Quanta umanità abbiamo smarrito insieme a quelle vite svanite nei nostri mari?

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