
(Foto di Ansa)
ITALIA. Quasi nelle stesse ore in cui una sventagliata di mitra dei soldati israeliani metteva in fuga a Gaza una delegazione dell’Unione europea (che comprendeva il nostro viceconsole), a Roma, a Montecitorio, si votavano le mozioni dei vari gruppi parlamentari sulla situazione nella Striscia di territorio palestinese sottoposto al fuoco dell’Idf inviato dal governo Netanyahu.
In aula due modi opposti di giudicare i fatti si sono confrontati con molta durezza. Da un lato i partiti della maggioranza con la loro mozione, poi approvata, dall’altra la sinistra compattata intorno ad un unico documento (che l’Aula ha bocciato). Il centrodestra ha ribadito la propria posizione favorevole ad una pace duratura garantita dal principio «due popoli e due Stati», ha mostrato comprensione e allarme per la causa umanitaria rappresentata dai civili di Gaza ma ha anche chiesto la rapida liberazione degli ostaggi israeliani condannando ancora una volta i terroristi di Hamas e il massacro del 7 ottobre. Ma nulla di più, il governo resta ancorato alla tradizionale alleanze con Israele che soprattutto nella Seconda Repubblica ha caratterizzato la nostra politica estera, con nessuna concessione alla attuale narrazione che si sente nelle piazze pro Pal e che ieri è arrivata fino a Montecitorio con l’ostentazione tra i banchi dell’estrema sinistra delle bandiere palestinesi e delle kefiah.
L’opposizione ha deciso di adottare senza ripensamenti il termine «genocidio» per quanto sta accadendo nella Striscia (nonostante il vasto dibattito proprio sull’appropriatezza dell’uso di un termine normalmente riferito alla Shoah, cioè alla eliminazione scientifica di un intero popolo, per milioni di individui, da parte dei nazisti), definendo Netanyahu un «criminale di guerra», chiedendo all’Italia e all’Europa di rompere le convenzioni e le collaborazioni con Israele per evitare, in caso contrario, di essere «disonorati» (secondo Elly Schlein) da un atteggiamento indifferente verso la sorte dei palestinesi. In aula a Montecitorio la parola «Hamas» non si è ascoltata dai banchi della sinistra mentre è stata ampiamente usata da quelli del centrodestra. Da questo punto di vista non si è notato alcuna differenza tra le varie sinistre che compongono l’opposizione, anzi si è notato un completo allineamento del Pd alle tesi più radicali sostenute da AVS e grillini. Ed è proprio questo un elemento politicamente rilevante della giornata di ieri a Montecitorio.
Il governo resta ancorato alla tradizionale alleanze con Israele che soprattutto nella Seconda Repubblica ha caratterizzato la nostra politica estera, con nessuna concessione alla attuale narrazione che si sente nelle piazze pro Pal
La stessa opposizione che ha trovato l’accordo per seguire la Cgil nei referendum anti Jobs act (che rompe col passato del Partito democratico) si è anche allineata sulle tesi recisamente filo palestinesi e anti israeliane ma vistosamente silenziose sulle atrocità di Hamas. È insomma in atto una torsione di quello che fu il centrosinistra in un «campo» divenuto tutto o quasi di sinistra-sinistra, sia nella politica sociale (guidato da Landini) che in quella internazionale (ispirata dall’estrema sinistra e dai grillini). Se questa è la traiettoria, tra poco vedremo cadere gli ultimi paletti tra il Pd di Schlein e il conglomerato AVS-M5S anche sull’Ucraina e soprattutto sulle armi, sia quelle che abbiamo finora mandato a Zelensky con il voto favorevole dei democratici, che quelle di cui gli Stati europei si ripromettono di dotarsi per difendersi dall’aggressivo imperialismo russo.
Intorno al trio referendum-Palestina-Ucraina si sta insomma fondando una nuova identità dell’opposizione che riduce al minimo il margine di agibilità per le componenti moderate e riformiste del Pd. Bisogna vedere quanto impiegherà questa dinamica a provocare le sue deflagranti conseguenze.
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