Paese malato, riconoscerlo è il primo passo per ripartire

ITALIA. Lo sapevamo già, ma adesso abbiamo pure il timbro ufficiale del Censis: gli italiani hanno smesso di credere nella politica così com’è.

L’istituto fondato da Giuseppe De Rita, che da 59 anni seziona il Paese come un antropologo che osserva una tribù irrequieta e che ci ha insegnato che i numeri sono più suggestivi di un romanzo, descrive un’Italia «selvaggia», compressa tra salari inchiodati, caro vita che ritorna e picchia come l’umidità e una crescente insofferenza per i riti della democrazia. Nel vuoto di fiducia che si spalanca, si infila un dato che fa venire i brividi: sempre più italiani ritengono che le autocrazie siano più adatte ai tempi. Il vecchio desiderio dell’uomo forte. Pensavamo d’averlo lasciato nei libri di storia, invece bussa già da un pezzo. E mentre cresce la percezione che nel mondo vinca solo chi grida più forte, la partecipazione politica crolla. Alle politiche del 2022 l’astensione ha toccato il 36%, oltre un terzo di chi potrebbe andare alle urne. Nel 1979, pensate, eravamo al 14,3%. Così anche l’informazione politica, impoverita anno dopo anno, scivola nella stessa palude.

Nel vuoto di fiducia che si spalanca, si infila un dato che fa venire i brividi: sempre più italiani ritengono che le autocrazie siano più adatte ai tempi. Il vecchio desiderio dell’uomo forte

Non è un tic passeggero. È una tendenza globale che da noi prende la forma di un catalogo di preferenze inquietanti: Putin piace al 12,8%, Orban al 12,4%, Erdogan all’11% e Xi Jinping al 13,9%. Trump, nel suo eterno show, raccoglie un 16,3% di simpatie. Poi, in mezzo a questo supermarket di leader muscolari registrato dal Censis, svetta un dato confortante: Leone XIV conquista il 66,7% degli italiani. In un Paese che non si fida più di niente, il Papa diventa l’ultimo punto fermo. Del resto persino D’Alema, con la sua celebre lucidità, ha ammesso che la Chiesa cattolica è «l’unica agenzia culturale sopravvissuta». E se lo dice lui che è un post comunista… Ma la principale sfiducia passa le Alpi vola a Bruxelles: il 62% degli italiani è convinto che l’Europa non conti più nelle grandi sfide globali e il 53% pensa che sia destinata all’irrilevanza. Poi c’è l’eccezione che conferma il deserto: le manifestazioni per la Palestina. L’unico sussulto, l’unica crepa in un muro di indifferenza. Il grande malato, intanto, resta il debito pubblico: dal 108,5% del Pil nel 2001 al 134,9% di oggi, per un totale da far tremare i polsi: 3.081 miliardi. Nonostante la cura draconiana - o dovremmo dire draghiana? - del ministro Giorgetti, siamo tra i peggiori d’Europa, dietro solo a Grecia e Ungheria a pari merito con la Francia. Il G7 non è messo bene, d’accordo, ma l’Italia resta il paziente che non risponde alle terapie.

Il mondo del lavoro

Sul lavoro viviamo un paradosso che altrove non si vede: il boom occupazionale degli ultimi due anni è trainato quasi tutto dagli over 50. Gli anziani avanzano, i giovani arretrano. Un Paese che invecchia perfino negli opifici e dietro le scrivanie. Le imprese si tengono i più maturi - i senior - perché affidabili, mentre i ragazzi - gli juniores - vivono la precarietà, evaporano nell’inattività o fanno le valigie per espatriare: sono stati oltre 78 mila nel 2024. Intanto avanza la sindrome del posto fisso, anticipata da Checco Zalone meglio di tanti sociologi: il 46,4% degli italiani sogna il pubblico impiego. Il privato convince il 30,6%, la libera professione l’11%. Ma non eravamo la patria della libera iniziativa? Stiamo fermi dove siamo in un posto di lavoro per 11,7 anni in media: una stabilità che però non scalda il cuore. Solo il 38% giudica sano il proprio ambiente occupazionale, solo il 29,4% dei dipendenti privati si sente motivato. E la produttività? In retromarcia: -2% per occupato, meno 3,5% per ora lavorata. Abbiamo più robot che entusiasmo. E deve fare ancora il suo ingresso in pompa magna sua altezza imperiale Intelligenza Artificiale.

Sullo sfondo, la faglia demografica: gli over 65 sono già il 24,7% della popolazione. I centenari volano a 23.548 ed è una bella notizia. Nel 2045 gli anziani saranno 19 milioni, il 34%. Un Paese che cambia pelle e ritmo, che sposta in avanti il baricentro della vita. La cultura arretra nei consumi: giornali -48% (dato agghiacciante), libri meno 24%. Volano gli smartphone (più 723%). Eppure cinema, musei, concerti reggono: la cultura sopravvive trasformandosi in esperienza.

Gli over 65 sono già il 24,7% della popolazione. I centenari volano a 23.548 ed è una bella notizia. Nel 2045 gli anziani saranno 19 milioni, il 34%

E mentre Roma continua a guidare la classifica dei reati (271.800 nel 2024), c’è finalmente un calo nei primi sei mesi del 2025: meno 7% nella Capitale, meno 1% a Milano. I borseggi romani, 92 al giorno, restano un record triste ma in discesa. Le violenze sessuali, però, segnano l’allarme più feroce: più 67% a Milano rispetto al 2019, più 22% a Roma. Nel 2025 si intravede un rallentamento dei femminicidi. Ma è troppo poco. Perché l’unico numero accettabile, lì, è zero. Un Paese stanco, disilluso, ma non senza speranza. Perché - mettiamola così - riconoscersi malati è già il primo passo per guarire.

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