Per i 5 stelle
nuovi guai
Ma la destra
non sorride

Chi si illudeva che, rieleggendo Mattarella, la situazione politica si sarebbe stabilizzata lasciando Draghi al lavoro per i prossimi due anni, si sta disilludendo. Certo Mattarella rappresenta la massima protezione possibile per il governo, con tutto quello che comporta in termini di relazioni internazionali e finanziarie, ma il problema è che - una volta confermati i due punti fermi al Quirinale e a Palazzo Chigi - tutto il resto, ossia i partiti e le coalizione politiche, stanno crollando miseramente a pezzi. Proprio le mille contorsioni della settimana di trattative per il Quirinale hanno fatto esplodere le contraddizioni che pre-esistevano da molto tempo e che per ragioni tattiche si erano risolve in una guerra di trincea senza esito sia nel campo del centrodestra sia nei 5 Stelle. Le novità dirompenti dell’ultima ora riguardano soprattutto quest’ultimo ma anche l’altro campo offre un’agitazione permanente.

La notizia del giorno sui grillini riguarda la sentenza del Tribunale civile di Napoli che ha dato ragione al ricorso di alcuni militanti contro le recenti modifiche dello Statuto (il «non-statuto») e la conseguente elezione di Giuseppe Conte a presidente. Così stando le cose, il bastone del comando torna nelle incerte mani del «reggente» Vito Crimi e in ultima analisi di Beppe Grillo. La destituzione «giudiziaria» di Conte, ancorchè provvisoria («La mia leadership non dipende dalle carte bollate, tutto si risolverà, lo dico da avvocato») getta il M5S in uno stato di prostrazione proprio a 24 ore dalle dimissioni di Luigi Di Maio da presidente e da componente del comitato di garanzia interno: il ministro degli Esteri aveva chiesto più libertà al dibattito tra militanti, Conte gli aveva fatto rispondere accusandolo di manovre divisive fatte per interessi personali e agitando il divieto di andare oltre un secondo incarico parlamentare (che metterebbe fuori Di Maio ma anche Fico e tanti altri). A questo punto sia Conte che Di Maio sono senza incarico e i gruppi parlamentari, frammentati in mille gruppi e gruppuscoli, correnti e cordate, stanno intasando le chat con polemche reciproche, dubbi, sospetti, accuse e soprattutto molta paura per il futuro. Di fronte a questo spettacolo di frammentazione politica di un movimento che solo 4 anni fa scalò orgogliosamente il Parlamento diventandone il partito di maggioranza relativa, la domanda è: cosa farà Enrico Letta? Il Pd continua a sperare di avere i 5 Stelle come alleati di un centrosinistra «allargato», ma si ritrova un alleato sempre più con l’acqua alla gola. E poi: Letta, chi appoggerà? Di Maio o Conte? E soprattutto, quanto hanno pesato nella valutazione del Pd le ambiguità dell’avvocato pugliese nella trattativa per il Quirinale e quanto le manovre di Di Maio?

Se Sparta piange, Atene non ride. Anche il campo del centrodestra è devastato. Giorgia Meloni accusa Salvini di aver gestito male le trattative sul Capo dello Stato e proclama: «Allo stato non siamo più alleati». Salvini risponde che ormai il centrodestra non esiste più e che anzi si è sciolto come neve al sole. Forza Italia è piena di gente che non ne può più dell’uno e dell’altro e spera nella rinascita del centro moderato distante dal sovranismo di destra sia della Lega che di Fratelli d’Italia. Senza contare che anche dentro la Lega c’è un fermento pericoloso: è vero che all’ultimo vertice di partito è stata confermata la fiducia nel segretario ma non è un mistero per nessuno quanto brontolio ci sia nel cosiddetto «fronte del Nord» tra i governatori e i detentori dei voti dei ceti sociali che tradizionalmente si affidano al Carroccio.

Tutto insomma è in movimento, e per una volta tanto le divisioni all’interno del Pd fanno meno notizia di quelle che stanno lacerando alleati e avversari di Letta, Franceschini e Orlando.

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