Putin e Biden, ricetta
per vincere entrambi

Lo spirito di Ginevra ha aiutato i contendenti. Putin e Biden hanno stabilito quel necessario contatto umano che permetterà loro di evitare errori - anche gravi o tragici -dopo gli ultimi 6 mesi in cui le relazioni russo-americane sono cadute al punto più basso negli ultimi decenni. Ma quando ci sono due potenze nucleari di mezzo non ci sono mai cautele di troppo, sebbene il mondo d’oggi si sia ormai dimenticato da tempo la paura dell’apocalisse atomica. E speriamo che quell’incubo non si desti mai all’improvviso. Così a Ginevra, dalla pericolosa retorica degli ultimi sei mesi - con manovre militari che hanno messo in aprile centinaia di migliaia di uomini armati fino ai denti gli uni di fronte agli altri sul confine russo-ucraino - si è passati al pragmatismo più duro. Si sono abbassati i toni, eliminati gli sfoggi di regalità e si sono smontati i rispettivi circhi mediatici nonché propagandistici.

Come due amanti a rischio separazione, russi ed americani hanno identificato il terreno comune su cui operare nei prossimi mesi per eliminare i primi ostacoli e rilanciare il loro rapporto bilaterale. La «road map» è stata definita. Le fondamenta poste sono addirittura due. Le prime sono di carattere personale con i leader, che hanno parlato tra loro ben un’ora in più del previsto, mentre il tempo dedicato alle discussioni con le delegazioni al completo è stato dimezzato.

Le seconde sono di carattere psicologico-geopolitico: rispetto ad Obama e a Trump, Joe Biden ha ridato pubblicamente alla Russia lo status di superpotenza globale, riportandola in serie A, quindi non più potenza decaduta o regionale come con gli altri due presidenti. L’americano ha spiegato al russo che, chiudendo ora il capitolo afghano e lo scenario post 11 settembre, Washington torna al piano di ridimensionamento della Cina che aveva in origine George Bush nel 2000. Mosca deve adesso scegliere con chi stare e non dimenticare che ha 400 milioni di cinesi che vivono a ridosso dei suoi confini in Siberia. Insomma la tattica Putin post crisi ucraina 2014 può trasformarsi nel lungo periodo in una strategia suicida, come ben sanno non pochi specialisti moscoviti.

Nel frattempo, a Ginevra, Biden ha firmato la Dichiarazione sulle armi nucleari che di fatto riporta la Russia in serie A. In pratica, sono solo Mosca e Washington a dare le carte in questa partita cruciale per gli equilibri mondiali. Negli ultimi 6 mesi, è stato ricordato a Putin, la Casa bianca ha anche detto «sì» al prolungamento di altri 5 anni dello Start3, trattato centrale del disarmo, e ha tolto le sanzioni all’oleodotto Nord Stream 2, progetto energetico rilevante per Mosca.

Vladimir Putin, a Ginevra, ha capito che il vento è cambiato. Pubblicamente ha avuto quel riconoscimento internazionale che lo rafforza sullo scenario interno in vista delle legislative di settembre. In un paio di interviste post summit è arrivato a sorpresa ad elogiare la leadership di Biden, non descritto dai media come «lui è realmente». Il capo del Cremlino sa anche perfettamente che gli oligarchi, suoi amici, preferiscono la vita a Londra e non a Pechino. Tirare troppo la corda significherebbe spezzarla. Anche sulla questione dei diritti. Ed infatti, clamorosamente, Putin non ha firmato l’ennesima legge censoria contro i media.

Ma da qui a settembre, causa elezioni, è difficile prevedere atti eclatanti da parte del Cremlino come la liberazione del dissidente Navalnyj (gli Stati Uniti preparano nuove sanzioni contro la Russia per il caso dell’oppositore). A parte per il ritorno degli ambasciatori si lavorerà dietro alle quinte. In sintesi, Putin e Biden hanno forse trovato la ricetta per vincere entrambi.

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