Putin non si ferma, il supplizio dei civili

Gli obiettivi geografici dell’«operazione militare speciale» russa in Ucraina si sono ampliati e non si limitano più alle autoproclamate repubbliche di Lugansk e di Donetsk, nel Donbass, ma includono anche «una serie di altri territori». Lo ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov. «Se l’Occidente fornisce armi a lungo raggio a Kiev - ha aggiunto - gli obiettivi geografici si spostano ancora oltre».

Nel mirino ora ci sono pure «le regioni di Kherson e di Zaporizhzhia e una serie di altri territori». Perché, spiega il ministro, «non possiamo permettere che la parte dell’Ucraina che Zelensky o chi lo sostituirà controllerà disponga di armi che rappresenteranno una minaccia diretta per il territorio nostro e di quelle repubbliche che hanno dichiarato la propria indipendenza». Lavrov ribalta così l’onere delle responsabilità: a mettere in atto una minaccia è stato il Cremlino, invadendo e occupando oltre il 25% del territorio di un Paese sovrano e indipendente. Solo ieri l’esercito russo ha colpito con missili e colpi di artiglieria 15 aree nel Donetsk, 36 edifici residenziali, fra cui 16 condomini, una scuola, una biblioteca, una scuola d’arte, una fattoria e una fabbrica. Imprecisato il numero dei morti e dei feriti rimasti sotto le macerie.

Quando Lavrov parla di «una serie di altri territori» si riferisce probabilmente a Odessa: la conquista della città priverebbe l’Ucraina di ogni accesso al mare, ma nel mirino resta anche la Transnistria, regione russofila ribelle della Moldavia. Si verrebbe così a formare un’ampia fascia che allargherebbe i confini della Russia verso Ovest. Intanto procede spedito il processo di russificazione del Donbass e delle zone occupate dal 24 febbraio a oggi. Il Cremlino sta preparando un referendum per l’autonomia dall’Ucraina della città di Melitpol, previsto a inizio settembre. Le forze di Mosca conducono un censimento porta a porta. Chi sostiene Kiev viene espulso a forza dall’Oblast (regione) di Zaporizhzhia, dove si trova la città. Il referendum dovrebbe tenersi in autunno in altri 10 centri passati sotto il controllo del Cremlino. Una situazione che complica la via del negoziato perché rafforza Putin mettendolo nella condizione di possedere un’ampia porzione del Paese invaso sulla quale trattare e rende più difficile un compromesso. L’esito dei referendum è scontato perché le consultazioni si tengono in aree dalle quali gli ucraini non russofili sono stati costretti a fuggire.

Intanto la guerra prosegue al ritmo di 20 razzi russi al giorno e di migliaia di colpi di artiglieria, con uno spartito agghiacciante: terrorizzare la popolazione e svuotare i centri più abitati per incontrare meno resistenza possibile e poi annetterli. Il caso di Mariupol, ridotta all’età della pietra, è impressionante: 17mila 314 attacchi su obiettivi civili e poco più di 300 su target militari. Il 95% della città è distrutto. Non sono dati di parte, diffusi dalla propaganda di Kiev, ma ricostruiti dalle Nazioni Unite, secondo le quali il 70% delle persone colpite dagli invasori non erano militari. Secondo un rapporto dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, «la frequenza degli attacchi contro i civili è la prova che le forze russe non rispettano il diritto umanitario». Così il numero degli sfollati interni (6,7 milioni) e dei profughi (5 milioni) rimane costante nonostante migliaia di rientri nelle zone saldamente in mano al controllo ucraino, come Kiev e le cittadine che le fanno da corona. Anche se non c’è zona che non cada nel raggio dei missili di Putin.

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