Quirinale, l’incognita
che agita i due fronti

Quanto sia fragile la coalizione di centrodestra lo si vede ad ogni passo: dopo lo schiaffo ricevuto alle recenti elezioni amministrative, con liti sui candidati e inevitabile rimpallo della responsabilità della sconfitta, ora è la partita del Quirinale che sta mettendo a dura prova i nervi dei tre alleati-concorrenti. Nessuno sa se davvero Silvio Berlusconi creda sul serio ad una propria candidatura; molti ipotizzano che il Cav stia usando la carta personale per ragioni tattiche, cioè per mantenersi al centro del gioco in una situazione in cui nessuno dei blocchi ha la maggioranza per eleggersi il presidente che preferisce. Però di sicuro il Cavaliere non può accettare che Giorgia Meloni trovi il modo di «scaricarlo» attribuendogli la volontà di un passo indietro in realtà mai manifestata, e anzi avanzando il sospetto di un inciucio tra Forza Italia e il Pd.

No, questo dalla Meloni Berlusconi non può proprio accettarlo, e infatti la reazione per le parole della leader di FdI è stata assai stizzita. È pur vero però che era stato lui a mettere un dito nell’occhio della presidente dei Fratelli d’Italia auspicando un governo Draghi ancora in carica oltre il 2023 causa emergenza nazionale, proprio quando l’unico partito di opposizione vorrebbe prima mandare Draghi al Quirinale e poi correre alle urne per vincere le elezioni.

La realtà è che in quella «casa» politica ognuno gioca per sé: Meloni contro Salvini per decidere chi dei due comanderà sull’altro, e poi entrambi i due «giovani» contro il vecchio leone ancora attivo nonostante l’età e gli acciacchi. Il risultato è la debolezza di tutti e tre, il che conferisce a Matteo Renzi una certa libertà di movimento come possibile «salvatore» di un centrodestra in panne e paralizzato da sospetti e veti reciproci: quei quarantacinque grandi elettori che Matteo può gettare sul piatto consentirebbero al blocco «moderato-sovranista» di trattare con Pd e M5S da posizioni ben più forti. Naturalmente Renzi smentisce le voci (Miccichè, Dell’Utri) che lo vorrebbero pronto a votare proprio Berlusconi al Colle più alto. In realtà, siamo alla pre-tattica.

Non che le cose vadano meglio sull’altro fronte: Enrico Letta insiste per aprire un tavolo di maggioranza in cui discutere sia di manovra di Bilancio che di Quirinale e trovare una posizione unitaria su entrambi i fronti. Ma la proposta non sembra raccogliere molti consensi (se non quello di Berlusconi che, appunto, ha suscitato i sospetti della Meloni). Letta coglie tuttavia un punto essenziale: se la maggioranza che sorregge Draghi non riuscirà a mantenersi unita nella partita per il dopo-Mattarella, il governo ne uscirà fatalmente indebolito. Forse proprio questa prospettiva nefasta potrebbe convincere Draghi a dirsi disponibile all’ultimo momento per una propria candidatura: già, ma a quel punto chi andrebbe a Palazzo Chigi? E chi potrebbe garantire una maggioranza tanto ampia quanto eterogenea? Non certo Daniele Franco, l’attuale ministro dell’Economia di cui tanto si è parlato: troppo tecnico, troppo schivo.

Certo c’è un’ultima possibilità che si va facendo strada in questi giorni di ripresa della pandemia. C’è chi chiede: se la situazione dei contagi continuasse a peggiorare imponendo forme restrittive più severe, non sarebbe più sensato lasciare le cose come stanno adesso con Draghi al governo e Mattarella al Colle? Molti, a cominciare dal Pd, sosterrebbero un’ipotesi del genere. Il problema però resterebbe sempre quello di convincere Mattarella a restare al proprio posto.

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