Referendum, la partita Pd in vista del congresso

ITALIA. Mancano esattamente tre settimane all’apertura delle urne referendarie e un grande interrogativo grava sul loro responso.

Qualunque sia l’esito del voto, questo turno elettorale passerà comunque alla storia per una sua singolarità. Nella pur ricca casistica delle consultazioni referendarie non si trova, infatti, un solo episodio di forza politica che si sia intestata una sconfitta annunciata. Così, almeno, appare la decisione della segretaria del Pd di associarsi alla Cgil di Maurizio Landini nel sostegno ai cinque referendum in calendario per l’8-9 giugno prossimo.

Le esperienze passate

E sì che i precedenti dovrebbero mettere sull’avviso del pericolo che si corre a soccombere in un referendum. La Dc pagò un costo altissimo al contrasto decretato nel 1974 alla legge istitutiva del divorzio: ottenne una brusca accelerazione del suo tramonto. Non diversamente, Bettino Craxi, nel 1991, col suo invito agli italiani a recarsi al mare per scongiurare che si abrogasse la norma delle tre preferenze, andò incontro ad un clamoroso smacco che porterà alla conclusione rovinosa della carriera politica. E ancora, mal glien’incolse a Matteo Renzi la decisione d’intestarsi la difesa della riforma costituzionale, che finì cassata a furor di popolo nel referendum del 2016.

La Schlein e il referendum

Scartata l’ipotesi che Schlein sia mossa da un impulso masochistico, l’unica spiegazione razionale che si può offrire della sua decisione di affrontare il rischio, altissimo, di procurarsi una sonora bocciatura non può essere che un calcolo tattico, ossia che abbia pensato: la vittoria al congresso del partito val bene una sconfitta referendaria. Non si deve dimenticare che la scalata ai vertici del Pd è stata da lei costruita con un assalto dall’esterno al partito. Le riuscì infatti un ribaltone, ottenuto grazie al supporto del «popolo di sinistra», con cui spodestò Bonaccini, eletto segretario dagli iscritti al partito. Quella partita non si è mai chiusa. Schlein non è ancora riuscita a far piazza pulita dei «cacicchi padroni delle tessere» che le impediscono il controllo pieno del partito. La mossa sembra quindi in quella direzione.

In vista delle elezioni politiche

Si stanno avvicinando le elezioni politiche e la segretaria vuole esser sicura di non aver nessun ostacolo sulla strada della candidatura a premier. Costi anche la falcidia dell’ala destra del Pd, costi la messa in atto di - parola di Lorenzo Guerini, leader dell’ala moderata del partito democratico - «un’operazione di annientamento» dei cosiddetti riformisti, i veri titolari del Jobs act di cui la loro segretaria chiede oggi la letterale abrogazione. Dall’Occupy Pd all’occupazione del Pd. Tutto ciò, in attesa del giorno della verità, quando dalle urne uscirà il verdetto finale sull’operato della giovane leader, che decreterà o il suo trionfo definitivo o la sua precoce caduta.

Si capirà allora se un Pd di sinistra, orgogliosamente alla testa di una coalizione di sinistra, riuscirà ad ottenere un bottino di voti sufficiente a conseguire la vittoria nelle urne che fino ad oggi gli è mancata o se dovrà rimpiangere quel 40% di voti che il partito riuscì a conquistare quando alla sua testa regnava il riformista Renzi.

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