Renzi all’angolo
riattacca dal centro

Si scrive Leopolda, si legge Quirinale. Renzi prepara le truppe per la partitissima del Colle che rischia di essere una pazza corsa ingestibile con un Parlamento balcanizzato. Il senatore, corsaro spiazzante come pochi, ha bisogno di uscire dall’angolo, nel momento più difficile per lui. Un po’ c’è finito per responsabilità propria, quella di un parlamentare della Repubblica conferenziere ben pagato da regimi autoritari. Un po’, destinatario dell’inchiesta Open, in quanto colpito da un eccesso di demonizzazione: la malcelata soddisfazione dei suoi avversari, che vedono in Renzi una variabile impazzita da espellere dal consesso riformista, alla lunga si traduce nell’ennesima puntata di un giustizialismo tristemente noto. L’ex premier, pur al netto di un consenso ai minimi termini e di una reputazione sotto scacco, accetta la sfida e la rilancia dal luogo deputato al contrattacco: la Leopolda.

«Né con il centrodestra né con il Pd e Cinquestelle», dice, ed è la conferma di un disegno, l’ipotesi di un centro tutto da costruire e nel mentre approccia un disinvolto attraversamento dei confini sinistra-destra. Nei giorni scorsi Italia Viva ha votato con il centrodestra due emendamenti al Senato: poca cosa nel merito, di una certa sostanza su quello politico. Chiaro il segnale, specie al leader del Pd Letta. Prima di tutto Renzi risponde all’offensiva di cui si sente bersaglio. E le sue critiche alla magistratura sono un altro modo per imbarazzare i dem. Se la prospettiva dello schieramento che va dal Pd a Conte è quella di mettere Renzi ai margini della stagione che si apre con la successione a Mattarella, l’ex premier fa sapere di essere della partita, di non indietreggiare e di non essere in trasferta nei Paesi del Golfo, e che ha il controllo della sua pattuglia: non più il regista che fu di Mattarella, comunque l’ago della bilancia da considerare.

Dal versante del leader di Italia Viva il voto per il Colle e ciò che ne può derivare (elezioni anticipate?) sono visti come la prova generale di un polo centrista che, per ora, sbatte contro due condizioni sfavorevoli. La prima è un affollamento di generali fra loro divisi e che si prendono sul serio, ma a corto di voti. La seconda è che con l’attuale legge elettorale non c’è trippa per i gatti centristi: la quota dei Collegi uninominali non incentiva le aggregazioni mediane. E infatti Letta ha cercato di neutralizzare Renzi proponendo un patto alla maggioranza e siglandone uno con Giorgia Meloni per impedire il ritorno al proporzionale che darebbe altro filo da tessere al capo di Italia Viva. Quel Pd che, sul Quirinale, spera ancora si apra uno spiraglio sul bis di Mattarella: si rivelerà una delusione. In realtà nessuno sa dove si andrà a parare, se non che Draghi o non Draghi al Colle, lo scenario a fine gennaio subirà una mutazione genetica. Il centrodestra ha i voti, non una politica.

La candidatura di Berlusconi (vera, presunta?) sollecita sorrisini, ma è vietato scherzare. L’inventore del centrodestra è già in campagna per la suprema magistratura e infatti ieri, con un formidabile salto dal trapezio, ha detto che il Reddito di cittadinanza, la bandiera dei grillini e il fattore divisivo con il centrodestra, va bene e aiuta i poveri: esattamente l’opposto di quel che continuano a dire il suo partito e la sua coalizione. Il sistema politico è in cerca di un punto d’equilibrio a 8 anni dalle elezioni del 2013. A destra la competizione fra Salvini e Meloni è tutt’altro che sopita, a sinistra i Cinquestelle sono in via di consunzione fra un gruppo parlamentare sbrindellato e la guerra aperta Conte-Di Maio. Una fase molto fluida, in cerca di regista: ne vedremo delle belle.

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