Scandalo Qatargate, geopolitica e sicurezza

Europa. Brutta storia, con intrigo internazionale, il Qatargate, esteso anche al Marocco.

Un brusco risveglio scoprire che nell’Europa paladina dei diritti umani c’è chi rema contro, al soldo di autocrati che, con mezzi illegali o borderline, vogliono condizionare le scelte delle istituzioni Ue in grado di muovere grandi interessi politici ed economici. È, fino a prova contraria, il più grande scandalo di corruzione e riciclaggio della storia dell’Europarlamento, l’unico istituto eletto a suffragio universale, teoricamente il più vicino all’opinione pubblica. Anche questo moltiplica il vulnus, un insperato assist per gli euroscettici. L’Europarlamento in questi anni ha acquisito più competenze e co-legifera insieme con il Consiglio Ue. Agisce sui grandi numeri dentro un potere comunitario ridondante e una crescita ipertrofica: basti pensare che l’80% della legislazione dei singoli Paesi è di matrice europea e che l’indagata greca, Eva Kaili, è solo uno dei 14 vice presidenti dell’Europarlamento.

L’agenda dell’assemblea gestisce questioni che incidono sulla vita dei cittadini. Il Qatargate chiama quindi in causa l’immagine e la credibilità di un’Europa che, dopo aver cercato di superare la spallata iniziale del populismo, deve ora fronteggiare inflazione e guerra nel cuore del continente. Lo scandalo è esploso nel momento peggiore e così certe attitudini opache venute a galla con l’inchiesta della magistratura belga consentono ai nemici della Ue, a partire dall’ungherese Orban, di gongolarsi compiaciuti. La beffa oltre al danno, reso ancora più acuto da un’altra circostanza: gli indagati sono in prevalenza di area socialista, appartengono alla compagine «buona», non al club dei reprobi, ma al sodalizio europeista e dunque «politicamente corretto», dietro il paravento dei nobili ideali.

Il punto centrale riguarda l’attività di lobbing, cioè di rappresentanza degli interessi organizzati (associazioni e aziende) che interagiscono con il decisore politico: nell’Unione è istituzionalizzata, esiste il Registro per la Trasparenza con l’elenco dei clienti, delle risorse e degli incontri, ma si deve ritenere che il sistema faccia acqua o che comunque le regole non siano sufficientemente stringenti per un lavoro dai confini labili. Bruxelles, per i lobbisti (sarebbero 30 mila in pianta stabile), è la seconda capitale dopo Washington. Le stime citate dal «Sole 24 Ore» dicono che l’azione delle lobby influenza il 75% delle decisioni prese da Commissione e Parlamento. Il profilo penale indicherebbe un’attività parallela non trasparente in quell’area grigia composta da parlamentari ed ex rientrati con il sistema delle porte girevoli, consulenti, collaboratori, portaborse, diplomatici.

Lo schema dell’accusa (in attesa di ulteriori verifiche e di conoscere la linea difensiva dell’interessato) ha come vertice la Ong dell’ex europarlamentare bergamasco Antonio Panzeri (esponente della sinistra lombarda, già sindacalista Cgil, passato dal Pd ad Articolo 1): è qui che si sarebbe riversato il flusso di contanti del Qatar e del Marocco. La Ong, secondo i magistrati, come schermo per smistare i soldi, un presunto traffico d’influenza per dare copertura mediatica e normativa benevola ai due Paesi, in particolare al Qatar, accusato di ripetute violazioni dei diritti umani anche in relazione ai Mondiali di calcio. Pecore nere, fragilità interna, invasione in campi impropri, omessa vigilanza, poca attenzione verso i Paesi terzi? C’è l’intento di distinguere fra responsabilità individuali e quelle delle istituzioni, perché si teme un’esondazione verso i piani alti dei vertici di Bruxelles. Si capisce così il patto di non belligeranza fra socialisti e popolari, i due partiti che governano l’Ue, sia per frenare la valanga sia perché l’inchiesta è tutt’altro che conclusa e nessuno può escludere che il caso possa andare oltre l’esclusiva responsabilità socialista. Quel che si nota è la vulnerabilità Ue sul delicato fronte dello Stato di diritto, mentre la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, nel parlare di «attacco» alla società democratica europea da parte di «forze malevoli», ha introdotto un’altra dimensione, quella della sicurezza geopolitica di fronte alla sfida portata dai vari regimi illiberali.

Quel traffico d’influenza per condizionare e manipolare le decisioni europee, una delle principali sfide per il modello di vita continentale. Un livello investigativo confermato dal fatto che l’inchiesta giudiziaria, peraltro sobria nella comunicazione, è partita dai Servizi segreti del Belgio e l’Intelligence di altri 5 Paesi europei ha collaborato alle indagini. Influenza e disinformazione che in questi tempi hanno visto lo spregiudicato attivismo della Russia di Putin e, con metodi più soft, la Cina di Xi. Più una segnalata disinvoltura di qualche politico di ieri e di oggi in trasferte e ingaggi «amichevoli» in territori compromessi: quel che era un optional di lusso potrebbe tramutarsi in frequentazioni imbarazzanti. Anche in Italia il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) sapeva di queste ingerenze, citando in un rapporto non solo Russia e Cina, ma anche Qatar, Emirati e Arabia Saudita. Lo tsunami di Bruxelles, fra le tante domande, lascia pure questa: ma davvero sono tutti caduti dalle nuvole?

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