L'Editoriale
Martedì 30 Dicembre 2025
Sull’Ucraina si negozia se al tavolo sono in tre
MONDO. La cronaca di questi giorni, anzi di queste ore, dimostra plasticamente quanto poco abbia di negoziato quello che ci siamo abituati a definire «negoziato sulla guerra in Ucraina».
La prima ragione è che in queste trattative ci sono molti negoziati tranne quello che dovrebbe esserci. Per spiegarci meglio: il negoziato vero, quello degno di tal nome, dovrebbe vedere Vladimir Putin da un lato, Volodymyr Zelensky dall’altro e in mezzo Donald Trump a fare da mediatore. Invece abbiamo una serie di incontri (o telefonate o scambi di messaggeri) fra Trump e Zelensky e fra Trump e Putin, con il presidente Usa che un po’ parla della guerra da fermare, un po’ degli interessi del suo Paese rispetto a quelli del Paese dell’interlocutore presente e in ogni caso deve di volta in volta riportare all’interlocutore assente i desideri e i propositi dell’altro.
I colloqui di Mar-a-Lago sono stati esemplari. Trump e Zelensky hanno detto di essersi messi d’accordo sui diversi punti in percentuali variabili dal 95 al 100%, manifestando un certo ottimismo.
Poi, però, si è scoperto che Putin doveva ancora essere informato e che in realtà restava da decidere la sorte del Donbass (che la Russia vuole per sé e l’Ucraina non vuole cedere) e quella della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, un mostro da 6 reattori che forniva il 20% dell’elettricità consumata in Ucraina, un impianto fondamentale che dal 2022 è controllato dai russi e che gli ucraini ovviamente vogliono recuperare.
Qualunque sia l’intesa trovata da Trump e Zelensky, ora si aspetta la risposta di Putin, per ricominciare magari tutto da capo, telefonate e messaggeri compresi. Com’è peraltro successo con Zelensky quando l’intesa la trovavano Trump e Putin
Il ruolo delle truppe straniere
C’è poi anche la questione delle truppe straniere (o Nato) che Zelensky vorrebbe in Ucraina come garanti della pace. Peccato che dal Cremlino abbiano fatto sapere che le considererebbero un legittimo bersaglio per i propri cannoni. Qualunque sia l’intesa trovata da Trump e Zelensky, ora si aspetta la risposta di Putin, per ricominciare magari tutto da capo, telefonate e messaggeri compresi. Com’è peraltro successo con Zelensky quando l’intesa la trovavano Trump e Putin.
La seconda ragione per cui il negoziato risulta tanto difficile sta nel fatto che è quasi impossibile trattare una pace senza avere prima una tregua. E di nuovo la cronaca ce lo dimostra. I russi accusano gli ucraini di aver mirato alla residenza di Putin con uno sciame di un centinaio di droni e minacciano pronte ritorsioni. Non solo: hanno persino chiesto scusa a Trump se, alla luce di quello che definiscono «un atto di terrorismo di Stato» da parte di Kiev, verranno meno ad alcune delle condizioni già concordate con il presidente Usa.
Mireranno al palazzo del presidente Zelensky? Non si sa. Ma quando accusano l’Ucraina di mostrare, con questi attacchi, di non volere la pace, dovrebbero ricordarsi che pochi giorni fa hanno bombardato Kiev con ogni possibile strumento, mirando a far soffrire i civili, lasciandoli al buio e al freddo, proprio alla vigilia della tornata negoziale di Mar-a-Lago.
Insomma, spararsi e intanto parlare di pace è di fatto impossibile, e le conseguenze sono evidenti. In questa fase il meno interessato a negoziare è Putin, che lo dice apertamente. Pochi giorni fa, alla notizia della caduta delle città ucraine di Mirnograd e Gulyaipole, lo zar aveva detto: «Per come procede l’offensiva, il nostro interesse per le concessioni di Kiev sul Donbass è pari a zero». Zelensky ha di certo più problemi ma dopo quattro anni di sacrifici enormi non può accettare una pace purchessia. Aspettiamoci quindi altre battaglie e altre svolte, altri morti e altre vendette. Con i protagonisti, tutti, del tutto consci di combattere ormai non per ottenere una vittoria ma per incassare una sconfitta minore.
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