Ucraina, simboli e pace lontana

Guerra. Ha innanzitutto un valore simbolico la visita compiuta ieri negli Usa da Volodymyr Zelensky. Per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa, nove mesi fa, il presidente ucraino è infatti uscito dal suo Paese.

Quando le truppe del Cremlino a fine febbraio giunsero alle porte di Kiev, fu chiaro quale fosse l’obiettivo: conquistare la capitale, costringere alla fuga il presidente o ucciderlo (un gruppo di miliziani ceceni era sulle sue tracce) e instaurare un governo fantoccio applicando un metodo già utilizzato da Mosca in Cecenia. In quei giorni la Casa Bianca offrì a Zelensky una via di fuga, rifiutata dal leader ucraino: restò sotto le bombe a difendere il suo popolo dall’aggressione. È in quel momento che nacque un legame mai più dissolto. Anche esponenti dell’opposizione si schierarono con il presidente che non ha smesso di essere in pericolo: il volo che lo ha portato a Washington è stato infatti scortato da un jet militare americano.

Dalla visita di Zelensky alla Casa Bianca emergono conferme (la salda alleanza politica e militare tra Usa e Ucraina) e novità: la fornitura di «Patriot», i missili antiaerei più potenti e tecnologicamente avanzati messi finora a disposizione di Kiev; il nuovo pacchetto di aiuti da quasi due miliardi di dollari non comprende invece gli «Atacms», i razzi tattici a lungo raggio in grado di colpire obiettivi fino a 300 chilometri, quindi potenzialmente capaci di arrivare in territorio russo: il presidente statunitense Joe Biden teme infatti una reazione vertiginosa del Cremlino, per altro già prospettata ieri da Vladimir Putin nel suo discorso al Consiglio di difesa, indicando gli scopi militari del 2023. Lo «zar» ha chiarito ancora una volta che la Russia continuerà a migliorare la preparazione al combattimento delle forze nucleari e che «gli obiettivi dell’operazione speciale (la guerra di aggressione all’Ucraina, ndr) saranno raggiunti».

E la pace? Nessun accenno di un percorso nei vari summit. Le posizioni restano distanti e inconciliabili. Mosca pone come condizione il riconoscimento dell’annessione alla Federazione di quattro regioni avvenuta a settembre dopo i referendum farsa, a conferma che l’invasione ha mire territoriali inglobando almeno due oblast che non sono (o non erano, prima della cacciata dei civili) a maggioranza russofila. Kiev invece vuole il ripristino dei suoi confini riconosciuti nel 1991 dalla comunità internazionale e dal Cremlino (di nuovo nel ’94). I contendenti puntano a vincere la guerra e in queste condizioni la meta più raggiungibile sarebbe un’anestetizzazione del conflitto. In nove mesi di guerra l’Ucraina è stata colpita da 3.500 missili e droni esplosivi, fino all’ignominia di mettere fuori uso le centrali elettriche lasciando 10 milioni di persone al gelo e al buio, nell’illusione di convincere i civili alla ribellione contro Zelensky.

La guerra in Europa sta producendo nel mondo effetti gravi non pienamente visibili. L’Ucraina è uno dei principali granai del pianeta e garantiva cibo a 400 milioni di residenti in Nord Africa, Asia e Medio Oriente, a 70 milioni dopo l’invasione, in seguito al semiblocco del porto di Odessa, bombardato anche nei giorni scorsi. L’anno si chiude poi con un record inquietante: secondo l’autorevole «Stockholm international peace research institute», nel 2022 la spesa per armamenti nel mondo ammonta a 2.100 miliardi di dollari, una cifra che potrebbe essere destinata almeno in parte a urgenze come lotta alla povertà e contrasto dei cambiamenti climatici. La Russia tra il 1999 e il 2021 (era Putin) ha incrementato i fondi per gli armamenti di 9,5 volte, la Cina tra il 2011 e il 2020 del 76%. In rapporto al Pil, in testa alla classifica c’è Mosca (il 4,26% del Prodotto interno lordo è destinato all’acquisto di armi) seguita dagli Usa (3,74%), mentre l’Italia è 102ª (1,37%). Cresce la spesa militare di dittature e di autocrazie incontrollabili e, in seguito all’insicurezza generale prodotta dall’invasione dell’Ucraina, sale anche negli Stati prossimi: in Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Indonesia, Australia e India; così come in Europa: nei Paesi baltici, in Polonia e in generale negli Stati aderenti alla Nato. Il mondo avrebbe bisogno di altro, di un nuovo ordine. E invece si muore per il gelo indotto dalle bombe o per la siccità. Nel 2022.

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