Una tregua per ricaricare la pace non le armi

Una tregua, almeno una tregua. Papa Francesco chiede di fermarsi, armi in silenzio almeno per qualche giorno, tregua pasquale per l’Ucraina dove le Pasque sono due, una per i cattolici, l’altra per gli ortodossi, domenica 17 aprile e domenica 24 aprile.

Così si potrebbero destinare le risorse al negoziato, si potrebbe studiare una strategia del dialogo più efficace di quella intrapresa finora con colloqui deboli, mediatori poco convinti se non degli effetti per se stessi. Ci hanno provato gli israeliani e i turchi, ci sono due delegazioni, russe e ucraine, che stancamente continuano a vedersi a singhiozzo. Ma la parola «tregua» non è mai emersa da nessuna trattativa e quelle umanitarie per evacuare civili sono fallite dopo pochi minuti. Francesco ieri mattina l’ha evocata con una precisazione che è un monito chiarissimo. Ha detto che una tregua non deve servire a «ricaricare le armi» per poi «riprendere a combattere», ma una tregua serve ad «arrivare alla pace attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente».

Ha detto che una tregua non deve servire a «ricaricare le armi» per poi «riprendere a combattere», ma una tregua serve ad «arrivare alla pace attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente».

Poi ha posto implicitamente una domanda che vale per ogni guerra e per la quale, in ogni guerra, non c’è mai stata una riposta convincente. Ha chiesto cosa significa esattamente vincere una guerra. Per il magistero pontificio da Benedetto XV, il Papa dell’inutile strage, in guerra mai c’è un vincitore. Le parole dei pontefici sul fatto che «con la guerra tutto è perduto» confermano che per la Chiesa cattolica la guerra non è mai il modo per risolvere i problemi, ma è il modo perfetto per aggravarli. Il conflitto in Ucraina in questi oltre 40 giorni ha prodotto macerie, migliaia di morti, milioni di sfollati all’estero e milioni di sfollati interni, gente che non ha più nulla né casa, né lavoro, né affetti. La domanda di Bergoglio è assolutamente autorizzata: «Che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?».

Eppure non vi vede una fine. Putin si riorganizza e nomina un nuovo comandante in capo sul terreno, il generale che ha reso al suolo Groznyj, il capo delle operazioni in Siria che non ha esitato nemmeno per un minuto a lanciare bombe sull’ospedale di Aleppo. Non c’è ragione di credere che questa volta i suoi ordini saranno diversi. Mosca è impantanata in Ucraina e qualcosa deve fare. Putin con il via libera al macellaio di Groznyj e della Siria conferma il suo totale disprezzo per la vita umana, sia che si tratti dei civili ucraini, sia che si tratti dei suoi soldati. La resistenza ucraina ha vanificato le speranze di Mosca di guerra lampo, ma potrà resistere a bombardamenti sempre più intensi sulla città? E poi siamo sicuri che la guerra non porterà a scenari ancora più tragici, come quelli evocati dall’ambasciatore di Mosca a Washington su un confronto militare diretto tra Russia e Stati Uniti?

Chi si è fermato per cercare di capire le debolezze europee, le divisioni americane, le ambizioni e le paranoie russe? Nessuno, ma quasi tutti ci siamo scelti un posto sugli opposti spalti per vedere chi vince.

Francesco ha posto ieri una questione politica, dopo aver indicato il dolore che produce la guerra con le «stragi efferate» e le «atroci crudeltà compiute contro civili inermi». Subito è partito il solito ritornello su Bergoglio che non cita mai la Russia e Putin. Ma aspettare ogni domenica a mezzogiorno per sottolineare una presunta posizione ambigua spostata verso Mosca e poco incline alla resistenza ucraina di Jorge Mario Bergoglio è un esercizio che deve finire. Il Papa non è un supereroe che ferma la guerra con un raggio laser. Se andasse a Kiev va per abbracciare chi soffre e chi si è difeso e non chi, come qualcuno intende, difendendosi prolunga la guerra. Se chiede una tregua non è perché ha in tasca una soluzione politica, se dice che la guerra è una follia non lo fa per dare voti ai protagonisti e se mette in dubbio la semantica retorica della vittoria significa che è l’unico ad avere il coraggio di dire la verità. Dal 24 febbraio ad oggi Bergoglio è intervenuto decine e decine di volte, praticamente ogni giorno. Ha supplicato, ha lanciato appelli e ha distribuito sonori schiaffoni, il più pesante a Malta sull’ «infantilismo» dei leader.

Chi si è fermato per cercare di capire le debolezze europee, le divisioni americane, le ambizioni e le paranoie russe? Nessuno, ma quasi tutti ci siamo scelti un posto sugli opposti spalti per vedere chi vince.

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