Le piccole vittime e la cura del male

MONDO. La guerra, ogni guerra, rappresenta la forma di violenza più vasta, più profonda e più impunita sull’umanità. Più vasta perché al calcolo dei morti e dei feriti, degli edifici distrutti andrebbero aggiunti gli effetti non visibili: le malattie psichiatriche che genera, la perdita di beni realizzati in una vita, danni fisici che possono portare alla morte dopo mesi o invalidità permanenti, sentimenti inquinati dal male subìto.

La più profonda perché la guerra entra nelle persone, nella dimensione privata e intima, lasciando tracce indelebili. Le vittime di ogni conflitto non a caso dividono la propria esistenza in un prima e un dopo: il discrimine temporale è appunto la guerra. La forma di violenza più impunita perché chi l’ha mossa e la conduce senza rispettare i limiti posti dal diritto internazionale e dal diritto umanitario internazionale, molto raramente ne risponde davanti ai tribunali della giustizia terrena.

La gravità dei conflitti

È ovviamente legittimo stabilire una classifica della gravità dei conflitti in base al numero delle vittime e degli edifici civili distrutti, ma non per sminuirne altri: per sommarli, evidenziando la barbarie diffusa anche nei nostri tempi di «progresso». La guerra sulla e nella Striscia di Gaza è particolarmente atroce perché in 20 mesi sono avvenuti 2mila bombardamenti in una delle aree più popolate al mondo (5.600 abitanti per km quadrato, per il 40% minorenni, 50mila bambini fra morti e feriti e 650mila senza più scuola secondo l’Unicef), perché non ci sono vie di fuga verso aree sicure (nel territorio, dal quale non si può uscire se non per motivati casi eccezionali) e perché il cibo e i farmaci sono utilizzati come arma (è difficile credere che un esercito come quello israeliano non riesca a garantire aree sicure per la distribuzione degli aiuti da parte di organizzazioni non governative). Ricordiamo cosa è successo il 7 ottobre 2023, il progrom di Hamas che provocò 1.200 morti (859 civili, 37 minorenni fra cui due neonati), attentato terroristico più grave dell’11 settembre negli Usa in proporzione al numero degli abitanti. Ma la legittima difesa, secondo il diritto internazionale, definisce regole nella reazione e paletti da non superare. Nel giudizio sulla risposta pesano poi dichiarazioni del governo israeliano. Benjamin Netanyahu l’8 ottobre 2023 annunciò gli obiettivi: «Distruggeremo Hamas» ma anche «trasformeremo Gaza in un’isola deserta, ci vendicheremo in modo poderoso». Nei mesi successivi due ministri dell’estrema destra religiosa dichiararono: «Nessuno ci lascerà causare la morte per fame di 2 milioni di civili, anche se potrebbe essere giustificato e morale, finché i nostri ostaggi non saranno restituiti» (Bezalel Smotrich); «I palestinesi meritano solo una pallottola in testa» (Itamar Ben Gvir).

Ricordiamo cosa è successo il 7 ottobre 2023, il progrom di Hamas che provocò 1.200 morti (859 civili, 37 minorenni fra cui due neonati), attentato terroristico più grave dell’11 settembre negli Usa in proporzione al numero degli abitanti

E i soccorsi?

Ma ogni guerra mette in moto anche quella che viene chiamata impropriamente «macchina» dei soccorsi. Non è una risposta tecnica però: vi prendono parte persone di organizzazioni non governative e volontari di associazioni che mettono in gioco umanità e coraggio per farsi carico di bisogni gravi, per curare le lacerazioni non solo fisiche. Il bene che agisce in mezzo al male. Anche Bergamo ha accolto la richiesta di aiuto che arriva da Gaza, attraverso l’ospedale Papa Giovanni (dove da mercoledì è ricoverata un’altra bambina palestinese ferita nella Striscia), la Diocesi, la Caritas, il Cesvi, associazioni e singoli cittadini. Le istituzioni politiche nazionali e gli organismi internazionali hanno il dovere di trovare risposte per fermare la carneficina, andando oltre le dichiarazioni, governando l’odio che ne è all’origine e quello nuovamente sprigionato. Ma la cura delle ferite è un atto di umanità personale in risposta al male, che ci toglie dal senso di impotenza e di rassegnazione. La deriva di questa epoca richiede una reazione non nichilista, non ripiegata su se stessi abdicando agli ideali indispensabili per realizzare un mondo migliore, che curi le ferite e non ne apra di nuove.

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