
( foto ansa)
MONDO. La nostra capacità di reggere il dolore degli altri, anche quando è spiccata, ha dei limiti. I media inoltre spostano l’attenzione su nuove tragedie. Così le stragi quotidiane di civili nella Striscia di Gaza e le sistematiche distruzioni dopo il progrom di Hamas in Israele, dal 7 ottobre 2023 hanno oscurato la guerra in Ucraina.
Peraltro il conflitto in Europa ha tenuto banco prevalentemente per il rischio che si estenda sfociando in un confronto armato mondiale. I crimini quotidiani compiuti dall’esercito russo non hanno mai avuto grande rilievo, con le eccezioni dell’eccidio di Bucha e dell’assedio di Mariupol (almeno 27mila vittime civili tra febbraio e maggio 2022), peraltro finiti nel tritacarne negazionista ideologico.
Non passa notte senza che gli invasori non lancino missili e droni su abitazioni e infrastrutture civili: il dato su chi perde la vita non è quello di Gaza anche perché l’Ucraina dispone di almeno 10 dei 25 sistemi di difesa antiaerea necessari a tutelare città e villaggi e un decreto ha reso obbligatori rifugi di protezione
Eppure secondo un recente rapporto Onu, il numero di vittime nei primi nove mesi di quest’anno è cresciuto del 31% rispetto al 2024 e non mostra segni di rallentamento. Nel solo settembre scorso, almeno 214 cittadini ucraini sono stati uccisi e quasi mille feriti. Non passa notte senza che gli invasori non lancino missili e droni su abitazioni e infrastrutture civili: il dato su chi perde la vita non è quello di Gaza anche perché l’Ucraina dispone di almeno 10 dei 25 sistemi di difesa antiaerea necessari a tutelare città e villaggi e un decreto ha reso obbligatori rifugi di protezione. In questi giorni è stata sferrata una nuova campagna russa contro le centrali elettriche per lasciare al gelo milioni di persone in vista del quarto inverno di guerra. Venerdì scorso un terzo dei 3,5 milioni di abitanti di Kiev è rimasto senza elettricità e acqua, ma la maggior parte della fornitura è stata ripristinata in poche ore, confermando una capacità di resistenza che Vladimir Putin non aveva messo in calcolo quando il 24 febbraio 2022 avviò la sciagurata «operazione militare speciale».
Va ricordato che questi raid deliberati costituiscono un crimine di guerra, per il quale la Corte penale internazionale dell’Aja nel giugno 2024 ha emesso mandati di cattura per l’ex ministro della Difesa russo Serghei Shoigu e per il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov, anche con l’accusa di «azioni disumane» sui civili. Sono evidenze che dovrebbero bastare a non dare giustificazioni al Cremlino e a provare empatia pure per il popolo ucraino che sa di chi è vittima. Donne, bambini e uomini in età non tra i 25 e i 60 anni (la fascia sottoposta a coscrizione militare) potrebbero espatriare ma da due anni e mezzo il numero dei profughi è fermo a 6,5 milioni. In un’intervista al nostro giornale pubblicata domenica 12 ottobre, il Nunzio apostolico a Kiev, monsignor Visvaldas Kulbokas, ha detto che «è difficile trovare le parole giuste per spiegare la realtà ucraina e convincere chi non la vive. A volte è frustrante, perché non sappiamo più con quali esempi o argomenti farci capire», denunciando la particolare gravità dei crimini nei territori occupati e annessi da Mosca e i «molti bambini rimasti orfani o senza tutori legali che vengono trasferiti con la forza in Russia, affidati a famiglie o istituzioni sconosciute e in questo modo è loro negata anche l’identità ucraina».
È una guerra contro identità, cultura e lingua di un popolo che non vuole tornare sotto il giogo del Cremlino, iniziata tre secoli fa. Si è riaccesa con la fine del vecchio ordine mondiale e nell’anarchia di quello attuale, un vuoto nel quale si riaffermano ambizioni revansciste imperiali o regionali (nel Vicino Oriente), la supremazia dei rapporti di forza. L’Ucraina «non Stato, parte della Russia», come ripete Putin da anni, sta puntando all’indebolimento economico di Mosca, colpendo la sua fonte più redditizia, le raffinerie: ha generato un calo della produzione del 20% e aumenti dei prezzi della benzina. A ciò si aggiunge l’avviso della Banca centrale russa, per la quale il mantenimento delle spese militari al 30% del bilancio statale non potrà continuare a gravare a lungo sulle casse pubbliche.
È una guerra contro identità, cultura e lingua di un popolo che non vuole tornare sotto il giogo del Cremlino, iniziata tre secoli fa
Oltre ad altri sistemi di difesa, Kiev vorrebbe i missili americani Tomahawk a lungo raggio per mirare in profondità la logistica militare e i depositi di armi avversari. Ma il rischio sarebbe ancora una volta di innescare l’escalation del Cremlino sui civili ucraini. Per far tacere almeno le bombe come a Gaza, per una tregua che dia tempo per trovare vie d’uscite diplomatiche, gli attori decisivi in questo teatro sono gli Usa e la Cina. La posta in gioco è uno Stato sovrano smembrato e il suo popolo. Una posta così grave da rendere complicato uno sbocco se non giusto almeno definitivo.
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