Addio a Riccardo Olivati, l’ultimo principe del Foro

LA SCOMPARSA. È morto a 85 anni. Difese il pentito Viscardi nel «processone» e Prima Linea lo condannò a morte. La passione per la politica tra i socialisti.

Sotto il suo paio di lenti spesse baritonava un’oratoria sottile, capace di snodarsi tra arguzie, ironie, citazioni dotte e mai fini a se stesse. L’avvocato Riccardo Olivati, spentosi martedì 1 luglio a 85 anni nella sua casa di Almé, veniva da un’epoca in cui i processi avevano una grammatica diversa da quella attuale, con i tribunali ancora formidabili serbatoi di principi del foro, arredati dalle loro arringhe e dalle facce della vecchia mala.

La sua caratura dialettica e la sua cultura (vasta sia quella giuridica che quella classica) erano al servizio non solo della giustizia, ma anche della politica: socialista di area autonomista, a metà anni ’70 fu anche segretario della federazione bergamasca del Psi, sanguigno come lo era in toga, disposto anche lì ad andare contro vento. Come nel 1987, quando osò in solitaria sollevare critiche alla linea pressoché plebiscitaria del segretario nazionale, nonché presidente del Consiglio, Bettino Craxi. «I partiti di allora erano fatti di ben altra stoffa. Riccardo faceva parte di un gruppo dirigente di un certo rilievo politico e culturale. Quello degli Stefanini, dei Venturati, Bruni, Parigi, Pievani, Giupponi, Crivelli, Bonfanti», elenca Carlo Salvioni, pure lui avvocato e socialista.

Il processo ai terroristi di Prima Linea

Giustizia e politica si sono del resto sempre intrecciate nella vita di Olivati, raggiungendo

aspetti drammatici nei primi anni ’80, durante il «processone» a carico dei terroristi di Prima Linea che si celebrava nell’aula bunker del carcere di Bergamo. Difendeva Michele Viscardi, il pentito, e non rinunciò ad assisterlo nemmeno quando Olivati ricevette da Prima Linea una condanna a morte. «Avevamo la polizia sul pianerottolo dello studio di via Cucchi 5 – ricorda commosso uno dei suoi allievi, Roberto Trussardi –. Per difendersi i poliziotti gli avevano fornito una pistola e un giubbotto anti-proiettile, che allora erano pesantissimi. Ma Riccardo non era tipo da armi, non sapeva usarle e riteneva il giubbotto troppo scomodo. Così, tra il serio e il faceto, chiese alla polizia se era possibile avere una borsa per documenti che fosse anche anti-proiettile. Così, diceva, avrebbe potuto farsi scudo se qualcuno gli avesse puntato una P38». E bisognava immaginarlo, lui che cominciava già a lasciare per strada diottrie, ma che manteneva riflessi felini, soprattutto a ping-pong, disciplina in cui eccelleva. «A fine anni ’80 – racconta un altro suo discepolo, Enrico Mastropietro – Gigi Riva, il campione del Cagliari, veniva a Bergamo per sfidarlo».

Olivati era cresciuto nella bottega giuridica di Claudio Zilioli, altro gigante dell’avvocatura bergamasca, diventando presto uno dei legali più richiesti dalle allora titolate batterie di rapinatori bergamaschi. Ma non rinunciava neppure alle puntate nelle preture del lavoro di tutto il Nord Italia. «Mi ricordo ancora i viaggi per le cause in Veneto, vere e proprie spedizioni. Guidava Riccardo e guidava malissimo. Io seduto accanto ero perennemente sulle spine», sorride Roberto Trussardi.

La dote dell’imprevedibilità

Studiava gli atti, ma la sua dote era l’imprevedibilità. Coglieva una sfumatura durante il processo e ci ricamava sopra per mezz’ora. E come un Sivori forense, nonostante la classe cristallina non rinunciava ai dispettucci, forse più per divertirsi che per sabotare l’avversario. Memorabili i suoi commenti di dissenso borbottati a mezza voce mentre parlavano i pm, i più suscettibili dei quali finivano nella trappola della provocazione, interrompendo la requisitoria per precipitare nell’alterco.

In fondo, spiritoso e sobillatore, lo era stato fin da ragazzo. «Al liceo Sarpi è rimasta scolpita per anni una sua performance davanti al professore di filosofia – osserva Ettore Tacchini, il più longevo dei presidenti dell’Ordine degli avvocati bergamaschi –. Si inventò un filosofo prendendo a prestito il nome del bar della funicolare, Funibar, dove andavamo dopo le lezioni. “Come nota il filosofo Funibara...” disse Riccardo al docente, che era un tipo disposto alla presa in giro intelligente e che in quel frangente rimase ammirato». Era patito di Talete e dei presocratici e non a caso la tesi la diede sulla filosofia del diritto.

Gli anni di studi al liceo Sarpi

«Prontezza di spirito ed eloquio di altissimo livello: c’era gente che andava a sentire le sue arringhe come fossero pièce teatrali», spiega Mastropietro. In effetti, Olivati aveva una capacità di modulare la voce degna di un attore. Ma si capiva che le sue, più che recite, erano lectio magistralis, dove fiorivano citazioni funzionali al ragionamento, mai gettate lì per spargere prestigio ornamentale. Leggeva anche 4 libri alla volta, e lo si vedeva arrivare da lontano impugnando una voluminosa mazzetta di giornali. Era il miglior cliente delle edicole della città. E dei taxisti, che spediva anche a ritirare i figli fuori dal Sarpi e dietro laute mance, quando le udienze si protraevano. Un giorno che aveva fretta fece prenotare per telefono una corsa da un barista. Quello mise giù dicendogli che un taxi non sarebbe arrivato prima di mezz’ora. «Scusi, ritelefoni: la autorizzo a dire che è per l’avvocato Olivati», incalzò. Il taxi era lì dopo due minuti.

Negli ultimi anni la vista l’ aveva abbandonato, così aveva ingaggiato una vicina perché due volte la settimana gli leggesse libri e giornali. Poi tv e radio, programmi di attualità, approfondimento e sport. Lascia la moglie Giovanna e i figli Federico e Michele, che ha ereditato lo studio legale. Per sua volontà non ci saranno camera ardente né funerali. Ha persino voluto vietare i paramenti funebri fuori casa. Contro vento fino all’ultimo respiro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA