Flotilla, tra i 26 rimpatriati non c’è Dario Crippa: «Sta bene, ma in cella condizioni pessime»

MISSIONE UMANITARIA. Gli italiani rientrati sabato 4 ottobre in serata. In carcere altri 14, in attesa dell’espulsione coatta. Forte la vicinanza alla famiglia del 25enne bergamasco. «Futura» chiede alla Giunta cittadina una presa di posizione netta.

Sono atterrati a Istanbul nel pomeriggio di sabato 4 ottobre e da lì in serata sono ripartiti verso casa, a bordo di voli diretti a Roma e Milano. Ma tra i 26 italiani rimpatriati, insieme ad altri 111 attivisti di varie nazionalità, non c’è il 25enne bergamasco Dario Crippa. Con altri 14 italiani – erano tutti a bordo della Global Sumud Flotilla – è ancora detenuto nel carcere del deserto del Negev dopo che, nella serata di mercoledì 1 ottobre, la missione umanitaria diretta a Gaza è stata fermata dalle forze israeliane a poche decine di miglia dalla costa.

Il padre: «Ci hanno detto che sta bene»

«Non lo sentiamo da quando sono stati fermati e portati in prigione»

«Ieri l’unità di crisi ci ha contattato dicendo che nostro figlio non faceva parte del gruppo di italiani che sarebbero stati rimpatriati. Non lo sentiamo da quando sono stati fermati e portati in prigione. Ci hanno detto che sta bene e mangia: nei prossimi giorni dovrebbero espellere anche lui, ma non hanno saputo darci dei tempi certi». A rispondere dall’altro capo del telefono è Paolo Crippa, padre di Dario e marito di Marzia Marchesi, assessore del Comune di Bergamo.

A Monterosso e in tutta Bergamo solidarietà e vicinanza

A Monterosso hanno ricevuto la solidarietà di decine e decine di residenti, «dal barista alla lavandaia, dai vicini di casa ai cittadini, dai giovani ai meno giovani, perfino le maestre di scuola di Dario – tiene a sottolineare –. Non ho mai visto una cosa del genere».

«E’ il segno che la Flotilla ha smosso le coscienze. Ed è questa la cosa più bella»

Un sostegno trasversale alla famiglia del giovane bergamasco, «segno che la Flotilla ha smosso le coscienze. Ed è questa la cosa più bella». Si stanno creando anche diversi «equipaggi di terra», un vero e proprio «popolo delle lettere», come lo definisce Paolo Crippa, che si sta mobilitando in queste ore per sottoscrivere e «inviare una email all’Ambasciata italiana, al Governo e all’unità di crisi, chiedendo il rilascio di Dario e degli altri attivisti».

La vicinanza di Bergamo, dove anche sabato 4 ottobre si è tenuto un presidio, sta aiutando la famiglia del 25enne ad affrontare questi momenti. «Il patema d’animo esiste – ammette Paolo Crippa –, ma per fortuna che c’è questa città: non si tratta di compassione, ma di comunione, di farsi comunità, di pensarsi insieme verso un destino comune».

«In cella condizioni pessime»

«Hanno parlato di condizioni pessime: alcuni non bevono da tre giorni e non possono lavarsi.Il cibo è poco e le forze militari israeliane li umiliano»

E poi il pensiero va alle condizioni nelle quali sono trattenuti in Israele. «A tenerci aggiornarti è anche un’avvocatessa italiana in contatto diretto con i legali israeliani impegnati per la difesa della Flotilla e che hanno incontrato gli attivisti in carcere dopo la visita del console italiano di venerdì 3 ottobre – prosegue –. Hanno parlato di condizioni pessime: alcuni non bevono da tre giorni e non possono lavarsi. Non possono comunicare tra di loro o mettersi in contatto con le famiglie. Il cibo è poco e le forze militari israeliane li umiliano». Così anche gli avvocati di Adalah, organizzazione per i diritti umani e centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele: «Alcuni hanno dichiarato di non aver ricevuto cibo, che i loro farmaci sono stati trattenuti e che non sono stati forniti farmaci alternativi. Altri hanno segnalato la mancanza di accesso all’acqua potabile e hanno descritto l’acqua disponibile come non sicura».

Si attende l’espulsione coatta

Per veder tornare a casa Dario Crippa e i 14 connazionali che ancora sono trattenuti in Israele servirà qualche giorno.

Tajani: «Mi sono preoccupato che vengano trattati nel modo migliore possibile»

«Non hanno voluto firmare la liberatoria e sono in attesa dell’espulsione coatta», ha spiegato ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani. La legge israeliana prevede, infatti, la detenzione di 72 ore per chi non firma il documento «in cui avrebbero dovuto dichiarare di essere entrati illegalmente», spiega Paolo Crippa in base ai dati ricevuti dai legali. «Mi sono preoccupato che vengano trattati nel modo migliore possibile – ribadisce Tajani –, non mi risulta che siano stati trattati con violenza: abbiamo chiesto che tutti i loro diritti vengano rispettati».

I consiglieri di «Futura» chiedono alla Giunta di «schierarsi senza ambiguità»

Nel frattempo la Flotilla bis continua il suo viaggio verso la Striscia di Gaza: due barche partite da Otranto e otto da Catania ieri sera stavano navigando nelle acque antistanti Creta. A Bergamo, invece, Laura Brevi e Aldo Lazzari, consiglieri comunali di «Futura», l’ala più a sinistra della maggioranza, chiede alla Giunta della sindaca Elena Carnevali di «schierarsi senza ambiguità», dopo che a maggio si era impegnata a promuovere il riconoscimento dello Stato di Palestina. «Un segnale importante, ma non è sufficiente», dichiarano, chiedendo che le istituzioni «usino tutti gli strumenti per boicottare» i legami con entità israeliane e sioniste, vietando «la partecipazione negli appalti pubblici» a fondi e società coinvolte con il governo israeliano. Si chiede anche di «presidiare la concessione dell’uso delle sale pubbliche», fare pressione sull’Università di Bergamo «affinché recida i rapporti con le università israeliane» e che venga conferita la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.

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