Inchiesta Covid, la telefonata: «Chiesi la zona rossa a Gallera»

Le chat. Le conversazioni del direttore generale della Bergamo Est, Francesco Locati: «Gli telefonai il 3 marzo». Lo sfogo per la mancata decisione: «L’Ats diceva: “È una fake news”. E i sindaci difendevano le attività produttive».

«Io dodici giorni fa ho insistito per fare la zona rossa come a Codogno. Risultato: il governo ci ha messo 5 giorni e poi ha deciso per questa porcata!». È il 14 marzo 2020 quando il direttore dell’Asst Bergamo Est, Francesco Locati, commentando le decisioni del governo per contenere la pandemia, invia questo messaggio whatsapp al sindaco di Seriate, Cristian Vezzoli (estraneo all’inchiesta), che concorda: «Una mezza misura all’italiana che darà mezzi risultati!». L’ospedale di Alzano in quei giorni era nell’occhio del ciclone, additato come «il» focolaio incontrollato da cui era partita l’ondata del contagio in Val Seriana.

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Le pressioni sulla Regione

Dalle carte dell’inchiesta emerge che Locati – indagato con l’ipotesi di epidemia colposa e false dichiarazioni proprio in relazione all’ospedale di Alzano – si era però fatto promotore da subito (del tutto inascoltato) dell’istituzione di una zona rossa nell’intera area. Alle 20.12 del 3 marzo comunicava infatti al suo direttore sanitario, Roberto Cosentina (come lui fra gli indagati): «Ho chiesto a Gallera la zona rossa...». E il 9 marzo, commentando i provvedimenti appena assunti dal governo Conte: «L’avevo chiesta 8 giorni fa...» si rammaricava. Il 13 marzo, lo sfogo con la sua addetta stampa Elena Barcella: «Tutto è partito dall’ospedale di Alzano, sottovalutazione dei casi, ecc., ecc...» ricapitolava sarcastico il dg, riassumendo il contenuto degli articoli che in quei giorni uscivano sull’ospedale di Alzano. «Non ho parole! Si chiedano invece perché il governo non ha decretato subito la zona rossa! Io l’ho chiesta più di 10 giorni fa con una telefonata all’assessore! Poi la Giunta l’ha chiesta al governo, il governo ci ha messo 5 giorni poi è venuto fuori un ... di zona rossa». Il 21 marzo un dirigente medico del presidio di Calcinate, Eliana Brandazza, gli inoltra un articolo de L’Eco di Bergamo dal titolo «Appello della politica bergamasca unita: “È una tragedia, dobbiamo fermarci per davvero”». «Quando tu chiedevi la zona rossa...» gli scrive la dottoressa. «Infatti – risponde Locati – e l’Ats che diceva “Ma no... è una fake news!”. Dovevi vedere i sindaci qui, tutti a difendere le attività produttive. Incredibile! Io la zona rossa l’ho chiesta l’1 marzo!». Il 14 aprile sempre Locati scriveva alla sua addetta stampa: «Ho saputo una cosa oggi, il Comune di Alzano non voleva la zona rossa...».

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Al centro delle discussioni spesso è l’immagine fortemente negativa dell’ospedale di Alzano chiuso e poi riaperto (decisione, questa, ridimensionata ai fini della diffusione del contagio dalla stessa relazione del professor Andrea Crisanti, secondo cui ormai il virus era in circolazione in tutta l’area: sarebbe piuttosto servita una zona rossa tempestiva). «Il messaggio che stanno veicolando i mass media: Codogno, tutto isolato subito, anzi, poverini, cosa gli è capitato. Alzano: abbiamo agito in modo irresponsabile e contagiato tutta la Bergamasca», scrive Milena Mauri (estranea alle indagini), responsabile dell’Area programmazione e controllo dell’azienda sanitaria Asst Bergamo Est in chat con Locati. «Ma davvero si pensa che il contagio è partito dall’ospedale di Alzano? - scriveva Luigi Cajazzo, direttore generale del Welfare della Regione in chat a una giornalista – non riesco a capire perché tutti diano peso a questo fatto e non alla mancata istituzione della zona rossa». «Ho pensato che se mi condanneranno per non aver chiuso Alzano chiederò di essere condannato anche per gli altri 99 pronto soccorso lombardi che non ho chiuso», scriveva sarcastico Marco Salmoiraghi, dirigente dell’assessorato al Welfare, alla collega Aida Andreassi, medico della direzione generale.

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«Gallera contrario»

Ad essere titubante sull’istituzione di una zona rossa sarebbe stato – a livello regionale – in particolare l’assessore Giulio Gallera: «Da numerose chat emerge la sua contrarietà», annota la Guardia di Finanza nell’informativa finale depositata in Procura.

Il 28 febbraio l’assessore sta chattando nel gruppo whatsapp dei colleghi di partito. Che sono disorientati sulla linea: «Ma la posizione di Regione è per l’apertura o la chiusura?», chiede lumi il consigliere regionale di Forza Italia, Angelo Palumbo. Risponde Gallera: «Noi siamo per prorogare l’ordinanza con qualche mitigazione». Il 3 marzo Aida Andreassi chatta con Salmoiraghi in merito a una riunione in corso: «Quando parte la zona rossa? Albino è dentro?». La misura viene data quindi per certa. «Per quanto ne so potrebbe partire domani o dopo. Non so di Albino. Siamo ancora riuniti in Unità di crisi con presidente e assessore, tutti noi, tranne assessore, siamo per zona rossa in tutta la regione».

Il giorno successivo, 4 marzo, sempre Andreassi scrive, questa volta a Cajazzo: «Forza Luigi, ieri sera Marco mi ha informato, riuscirete a convincere Speranza e il governo. Il nostro assessore lo manderei a Lodi a farsi un giro». «Si ieri sera me lo sono inimicato – risponde Cajazzo (a sua volta fra gli indagati) - ho chiamato il presidente e l’ho fatto venire da noi. E lui ha chiamato Mattarella».

Sulla posizione di Regione Lombardia, gli inquirenti annotano: «In sintesi, il 28 febbraio 2020 il presidente Fontana dapprima rappresenta al governo la gravità di un indice R con zero regionale pari a 2, il che significa epidemia fuori controllo, salvo poi affermare che “le misure che sono state adottate domenica con il Dpcm del 25 febbraio, alla luce dei dati di oggi sono valide perché permettono di contenere la diffusione del virus”, tanto che richiede il “mantenimento, per la settimana dal 2 all’8 marzo» delle stesse misure.

Il documento «classificato»

Il 29 febbraio 2020 l’assessore regionale al Bilancio, Davide Caparini invia al collega Gallera un documento redatto riservatamente dalla società regionale E-Polis, contenente le proiezioni del contagio in Lombardia. «È evidente dai messaggi che seguono che entrambi gli assessori sono a conoscenza della gravità della situazione», rilevano gli inquirenti. «Informazioni classificate», cioè riservate, si affretta a dire Caparini a Gallera.

È il 2 marzo quando il Cts suggerisce la zona rossa per Alzano e Nembro. A una riunione a cui era presente anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, se ne parla. Lo testimonia un resoconto redatto da Agostino Miozzo, all’epoca coordinatore del Cts: «Il presidente evidenzia che la zona rossa va usata con la massima parsimonia perché ha un costo sociale, politico, non solo economico, molto alto. Dice: “Devo capire se questa misura può avere effetto contenitivo reale. Mi dovete far capire se tra qualche giorno dobbiamo aspettarci di creare tutte zone rosse”». Il 3 marzo Gianni Rezza (Iss) scrive a Stefano Merler, ricercatore della Fondazione Kessler, e a Silvio Brusaferro che «Alzano e gli altri Comuni vanno sicuramente in zona rossa». Merler concorda: «Non c’è altra scelta». Poi via chat, sempre Rezza: «La Lombardia ha inviato i dati, siamo al lavoro con Merler sui criteri per le nuove zone rosse. Conte deve capire che se il virus non si arresta crolla il Paese».

«Conte senza una relazione strutturata non chiude i due Comuni. Pensa che se non c’è differenza con altri Comuni ha un costo enorme senza beneficio», scriveva il ministro Roberto Speranza a Silvio Brusaferro. «Dice che ormai ci sono molti Comuni in questa situazione. Ha dubbi che serva. Mi ha chiesto una relazione compiuta». Intanto i giorni passano. Il resto, purtroppo, è storia.

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