Rimborsopoli, assolti Saffioti e Pedretti

La Cassazione. Dopo 10 anni con la prescrizione del reato decadono le condanne per i due ex consiglieri regionali di Forza Italia e Lega: «Fine di un incubo». Verdetti invece confermati per Fatuzzo e Frosio. Lui: ora la Corte europea.

Quando il caso scoppiò, correva il febbraio del 2013: ci si preparava alle elezioni regionali tra Roberto Maroni e Umberto Ambrosoli, un’era politica fa. Ora, a quasi dieci anni di distanza e incidentalmente in tempi di nuova campagna elettorale, è giunta la parola fine (o quasi) sulla «rimborsopoli» del Pirellone: giovedì sera la Cassazione ha annullato quasi tutte le condanne – oltre una quarantina – inflitte nei precedenti gradi di giudizio, confermandone invece solo tre.

Più precisamente, in punto di diritto, i giudici hanno riqualificato gran parte delle accuse di peculato in quelle di indebita percezione di erogazioni pubbliche, fattispecie che si prescrive dopo 6 anni, dunque «cancellando» gran parte delle condanne visto che i fatti erano riferiti a tempi ben precedenti. Tre condanne sono però diventate definitive, e riguardano i bergamaschi Giosuè Frosio (consigliere regionale dell’allora Lega Nord dal 2005 al 2013) ed Elisabetta Fatuzzo (al Pirellone dal 2000 al 2018 col Partito Pensionati) e il lecchese Corrado Paroli (ex collaboratore del gruppo consiliare della Lega Nord). Decadono invece – per quanto riguarda esponenti bergamaschi – le condanne precedentemente inflitte a Carlo Saffioti (consigliere regionale di Forza Italia dal 2000 al 2013) e a Roberto Pedretti (in Regione col Carroccio tra 2010 e 2013), che vedono infine concludersi positivamente il lungo iter giudiziario. L’indagine era nata dalla procura di Milano e verteva sulle modalità rimborso di spese sostenute e giustificate dagli allora consiglieri regionali.

Le condanne

Il ricorso in Cassazione di Giosuè Frosio – che in appello era stato condannato a due anni e due mesi – è stato dichiarato inammissibile per un vizio di forma, perciò rimane cristallizzata la decisione di secondo grado. Ma ora potrebbe aprirsi una nuova partita: «È chiaro che questa decisione non mi soddisfa, a maggior ragione visti gli altri esiti: ricorreremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo – spiega l’ex sindaco di Sant’Omobono –. Ribadisco la mia innocenza, ho agito in buona fede e rispettando quelle che erano le indicazioni. La Regione, che vedeva tutti i bilanci dei gruppi consiliari, doveva dirci che eravamo in errore. Quest’ultima decisione dà grande delusione: da dieci anni vivo le pene dell’inferno». Anche il ricorso di Elisabetta Fatuzzo, che non commenta in attesa delle motivazioni della sentenza, è stato dichiarato inammissibile; in secondo grado, la Corte d’appello aveva inflitto un anno, cinque mesi e dieci giorni.

Chi esce di scena

«Dopo dieci anni in cui questo incubo ha quasi quotidianamente accompagnato le mie giornate, ora non posso che essere contento – commenta Carlo Saffioti, dopo l’annullamento della precedente condanna a due anni e sette mesi –. La Cassazione non ha dato del tutto ragione ai ricorrenti ma non ha dato del tutto ragione al tribunale di Milano. Mi sento comunque alleggerito, questa vicenda è stata una sgradevolissima compagna». La bolla dei rimborsi aveva di fatto concluso forzatamente la carriera politica di gran parte degli allora indagati: «È una vicissitudine che mi ha cambiato la vita, non dico in meglio o in peggio. Ho ripreso il mio lavoro, che mi dà tante soddisfazioni – riconosce Saffioti, tornato alla professione di psichiatra –. Ma ho dovuto cambiare vita e convivere per dieci anni con questa ferita». Roberto Pedretti ha affidato il proprio pensiero a un lungo post Facebook: «Ho visto crescere i miei figli dovendo spiegare loro che non sono un ladro, che nel periodo in cui sono stato consigliere regionale della Lombardia ho solo fatto uso, come da disposizione del gruppo consigliare di appartenenza (la Lega Nord, ndr) e mai ho abusato di quei fondi. Ho dato l’anima in quegli anni, per il mio ruolo istituzionale e per il movimento in cui allora credevo, per i suoi ideali. È finito un incubo che mi ha tolto molto anche economicamente parlando, ma non mi ha tolto la dignità».

Degli oltre quaranta politici ancora impigliati nella rete di questo processo, sono state cancellate senza rinvio anche le condanne per Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato (1 anno e 8 mesi in appello), per Renzo Bossi (2 anni e mezzo in appello) e per l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca (1 anno e mezzo in appello); per un piccolo gruppo di ex consiglieri – nessuno dei quali bergamasco – è stato invece deciso il rinvio a un giudizio di appello-bis, per un difetto di motivazione.

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