«Il sorriso di Carlo a 6 mesi dal dramma in cui rischiò la vita»

La storia A Brembate ha compiuto 33 anni. Il 7 novembre fu picchiato brutalmente e finì in coma. La fidanzata: «Il percorso è ancora lungo, ma lui è qui».

«Guarda quello lì come mi ha conciato: per colpa sua non riesco più a vivere una vita normale». Carlo Ferrandi lo ripete un po’ come un mantra, specie quando non riesce più a portare a termine alcune banali faccende come prima. E il «prima» per questo bergamasco di Brembate che proprio ieri ha compiuto 33 anni vuol dire fino ai minuti precedenti di quanto avvenuto quella notte del 7 novembre scorso, quando venne brutalmente aggredito all’esterno della discoteca Number One di Corte Franca, nel Bresciano, finendo in coma e riportando gravi lesioni cerebrali, delle quali ancora oggi – sono passati giusto 6 mesi – porta ancora le conseguenze.

Giusto lunedì la Procura di Brescia aveva inviato l’avviso di chiusura delle indagini al ventiduenne Giancarlo Gramendola, di Calusco, in carcere per tentato omicidio proprio per quell’aggressione. Soltanto un mese fa Carlo è tornato a casa, dopo cinque lunghi mesi tra ricovero e riabilitazione. Suo angelo custode è la fidanzata Marica Betta, che per stargli vicino ha messo da parte la sua carriera nel mondo dello spettacolo essendo stata Miss Europa 2017: «Siamo fidanzati da cinque anni – racconta Marica – e quella notte ha cambiato la vita a entrambi». Marica era infatti in macchina con Carlo in quei momenti ed è stata la prima a soccorrerlo. «Ricordo come fosse ora quando mi dissero: sappi che potrebbe anche non risvegliarsi e non farcela. Sono rimasta lì, impietrita in mezzo alla strada: non sapevo se l’avrei mai più riabbracciato».

Dimesso un mese fa dopo ricovero e riabilitazione: «All’inizio metà corpo era immobile»

L’abbraccio per fortuna sarebbe arrivato, ma il percorso per tornare a una vita normale è ancora lungo: «Quella notte eravamo sulla nostra Audi Q3 e un’auto ci ha sorpassato, scontrandosi con un’altra che arrivava dalla direzione opposta – ricorda la giovane –. Eravamo appena usciti dal Number One, ci eravamo divertiti senza esagerare: avevamo bevuto forse giusto un cocktail. L’incidente non l’ho nemmeno visto: ho solo sentito che una delle auto è poi venuta contro la nostra. Niente comunque di grave. Carlo è sceso per andare a fare la constatazione amichevole. Pochi istanti dopo l’ho però visto che indietreggiava: c’era un ragazzo che gli urlava qualcosa faccia a faccia, con dietro altri sei o sette ragazzi. Erano tutte persone con cui non avevamo mai avuto nulla a che fare prima. A quel punto ho preso il cellulare e mi sono messa istintivamente a filmare. E meno male che l’ho fatto: altrimenti Carlo non avrebbe avuto giustizia». Sarà infatti proprio il video a consentire alla polizia di risalire all’autore dell’aggressione.

Il racconto: «All’improvviso Carlo viene colpito con dei pugni in testa a ripetizione da un altro ragazzo sbucato dal nulla e penso nemmeno coinvolto nell’incidente – ripercorre Marica –, tanto che indietreggia finché non lo vedo più: sento una botta e capisco che Carlo è finito contro la nostra auto»

«All’improvviso Carlo viene colpito con dei pugni in testa a ripetizione da un altro ragazzo sbucato dal nulla e penso nemmeno coinvolto nell’incidente – ripercorre Marica –, tanto che indietreggia finché non lo vedo più: sento una botta e capisco che Carlo è finito contro la nostra auto. Chi lo ha aggredito gli è sopra immobile, forse aspettando una sua reazione che non c’è stata. A quel punto ho preso coraggio e sono scesa, rischiando anche io: Carlo era a terra incosciente, con gli occhi bianchi, emetteva un suono continuo. “Amore, svegliati!”, gli gridavo. Ma nulla. Allora ho capito che c’era qualcosa che non andava e mi sono messa a gridare: “Aiuto, aiuto!”».

Nel frattempo arrivano i mezzi del 118 chiamati per l’incidente (che non aveva comunque causato feriti gravi) e il personale sanitario soccorre Carlo: un tempismo che si rivelerà fondamentale per lui, visto che aveva già in corso un’emorragia cerebrale. «L’aggressore e gli amici si sono guardati e hanno detto “Andiamo via, scappiamo” – racconta ancora la fidanzata –: per fortuna avevo ancora acceso il filmato e mi sono avvicinata alle loro auto, terrorizzata, riuscendo a riprendere la targa, che ho riferito al 112». Nel frattempo Carlo viene portato al Civile di Brescia, sedato e intubato. «Ho passato la di domenica prima dai carabinieri di Iseo, la sera a vedere Carlo nel suo letto intubato a tenergli la mano e parlargli mentre piangevo a dirotto, facendo un voto pur di salvargli la vita, e la notte in questura a Brescia per riepilogare l’accaduto. Grazie all’identikit che ho fornito, sono riusciti a risalire all’aggressore. Le ore seguenti sono state di disperazione, finché il lunedì sono tornata in ospedale e ho stretto la mano a Carlo che, risvegliatosi dall’intervento alla testa, ha risposto: “Amore mio”. me lo ricorderò per sempre». Oggi, a sei mesi da quei fatti, Carlo è tornato a casa, a Brembate.

Non può ancora riprendere il lavoro, anche se nella ditta metalmeccanica della Martesana tutti lo stanno aspettando: «Siamo andati a far loro visita nei giorni scorsi – racconta ancora Marica – ed è stato commovente vedere come tengono a Carlo che, tra l’altro, un mese prima dell’aggressione era stato assunto a tempo indeterminato». Per ora, però, il lavoro non c’è e i costi per la riabilitazione sono ancora alti: «Gli sono stata accanto per tutto questo tempo, prima in ospedale al Civile e poi durante la riabilitazione alla casa di cura Domus Salutis di Brescia – aggiunge la fidanzata –: ancora non sappiamo se la vita di Carlo potrà mai tornare quella di prima. I danni fisici sono importanti: durante l’intervento una parte del cranio gli è stata asportata per via dell’ematoma e poi riapplicata e ancora oggi non riesce a muovere bene il piede sinistro, anche se inizialmente era paralizzato praticamente in tutta la parte sinistra del corpo. Per fortuna, però, non ha perso la memoria. Cammina lentamente, fatica a fare le scale e sta assumendo dei farmaci anche per il dolore che è costante. Ma ciò che conta davvero è che sia qui tra noi, al mio fianco e che sorrida. Sei mesi fa non era per nulla scontato».

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