«Sopravvissuti alle bombe in Libano, ora siamo senza casa per l’esplosione a Bagnatica»

BAGNATICA. Hamed Hamade con la moglie e la figlia di 20 mesi abitavano da quattro mesi nella palazzina esplosa. «Scappati a settembre da Beirut dove le bombe ci hanno distrutto la casa, è stato come rivivere quei momenti».

Bagnatica

«Guarda, il destino...». Madre Chiara, superiora generale della Congregazione Sacra Famiglia di Comonte, resta a bocca aperta nel riascoltare il racconto di Hamed Hamade e della sua famiglia. Lui, la moglie Marleine e la figlia Julya di 20 mesi sono scappati da Beirut nel settembre scorso, la loro casa è stata distrutta dalle bombe. Sono venuti in Italia dove hanno dei parenti, da quattro mesi abitavano nel complesso «Isolabella» di Bagnatica. Martedì alle 6.30 si sono ritrovati di nuovo tra le macerie. Salvi, ancora una volta.

«Sembrava il Libano»

«Sembrava di essere tornati in Libano – racconta Hamed tenendo in braccio la piccola Julya che si dimena – noi abitiamo al piano di sopra e a destra rispetto alla casa da dove è partita l’esplosione. Stavamo dormendo, noi tre in camera da letto e mia zia Massarra sul divano in soggiorno. All’improvviso abbiamo sentito un’esplosione fortissima, poi una grande luce. Sembrava come il fulmine di un temporale. Porte e finestre si sono staccati dal muro, i vetri sono andati in mille pezzi. Ho subito abbracciato la bambina e abbiamo guardato fuori: macerie dappertutto. Mia moglie e la bimba piangevano disperate, mia zia si è salvata per un soffio perché la finestra del soggiorno si è staccata ma si è incastrata nella parete e non le è finita addosso. È stata colpita in testa dalle schegge di vetro, ma non si è fatta nulla. Anche noi per fortuna siamo rimasti illesi, anche se la casa è andata praticamente distrutta. Ci sono crepe gigantesche sui muri, sui soffitti, siamo riusciti giusto a salvare le medicine per me e mia figlia, che soffriamo della stessa patologia, e qualche vestito. I vicini urlavano “Tutti fuori, tutti fuori!”. Ho chiamato mio fratello ma dormiva e non ha risposto, poi mio cugino che abita a Bologna che mi ha detto di chiamare subito il 112. Nel frattempo erano già arrivati i Vigili del fuoco, hanno preso subito la bambina dalle braccia di mia moglie, poi l’hanno avvolta in una coperta e ci hanno fatto uscire immediatamente».

Mia moglie e la bimba piangevano disperate, mia zia si è salvata per un soffio perché la finestra del soggiorno si è staccata ma si è incastrata nella parete e non le è finita addosso. È stata colpita in testa dalle schegge di vetro, ma non si è fatta nulla. Anche noi per fortuna siamo rimasti illesi, anche se la casa è andata praticamente distrutta.

La famiglia di Hamed ha trovato ospitalità dalle suore della Sacra Famiglia di Seriate: «Mi ha chiamato l’assistente sociale del Comune di Bagnatica – racconta madre Chiara – e le ho detto che avevamo la disponibilità di un appartamento. Avevano fretta perché la bimba piccola è malata e doveva riposare. Alle 14 tutta la famiglia era qui».

«Grazie alle suore»

Marleine non parla italiano, sorride e porta tè e biscotti. «Qui ci troviamo benissimo – prosegue Hamed – ringraziamo di cuore le suore che ci chiedono in continuazione se abbiamo bisogno di qualcosa e ci danno tutto ciò che serve. Subito i pannolini per Julya, vestiti, cibo». Certo ritrovarsi con la casa devastata due volte è stato un trauma: «Facciamo fatica a dormire, rivedo le immagini di Beirut e di Bagnatica come dei flash che mi scorrono veloci nella mente».

«Qui ci troviamo benissimo – prosegue Hamed – ringraziamo di cuore le suore che ci chiedono in continuazione se abbiamo bisogno di qualcosa e ci danno tutto ciò che serve. Subito i pannolini per Julya, vestiti, cibo»

Sul cellulare mostra le foto e i video: «Vedi, questa è la casa di Bagnatica». Scorrono le immagini della camera da letto con le finestre divelte, il divano pieno di vetri rotti, la finestra del soggiorno in bilico fermata dalla parete, le crepe nei muri. In un video, le macerie dell’abitazione di Beirut distrutta dalle bombe, un parallelo che lascia senza parole.

La fuga dal Libano

«In Libano non possiamo più vivere, è troppo pericoloso. È rimasto mio fratello che è cittadino italiano ma lavora a Beirut. Julya dopo quello che è successo martedì ha sempre paura e non lascia un istante la mamma». La Sacra Famiglia di Comonte è un’oasi di pace, nel giardino ben curato si sente solo il cinguettio degli uccelli. È lontana anni luce dalle bombe e dalle esplosioni, dai pianti e dalle urla. Hamed è scappato in Italia con la sua famiglia, prima a Pavia dalla sorella e poi a Bagnatica grazie a un collega del fratello che li ha ospitati nel suo appartamento di via Isolabella. E qui in Italia vuole rimanere: «Adesso dobbiamo ricostruire la nostra vita, il Comune ci sta trovando un appartamento in zona e io ho già fatto un colloquio di lavoro, martedì firmerò una proposta per un impiego part-time di tre mesi come magazziniere, dalle 20.30 all’1 in un supermercato di Scanzorosciate. Sto cercando anche un lavoro da fare di giorno, a Beirut facevo il tassista all’aeroporto».

Oggi il sopralluogo del Niat

Parrocchia e Comune di Bagnatica hanno avviato una raccolta fondi per i 42 sfollati. Per contribuire, l’Iban è: IT29H0503453870000000001367. Giovedì Piero Cabras, proprietario dell’abitazione da cui è partita l’esplosione, e il figlio di 17 anni sono stati dimessi dall’ospedale Bolognini di Seriate. La moglie Lorenza Gandi e l’altro figlio di 16 sono ricoverati al Niguarda di Milano con ustioni di secondo grado, fuori pericolo ma sempre gravi. Il ragazzo è ancora sotto sedativi.

Per fare luce sulle cause dell’esplosione nella mattinata di sabato 31 maggio a Bagnatica faranno un sopralluogo i Vigili del fuoco del Niat (Nucleo investigativo antincendi). Il sostituto procuratore Guido Schininà ha aperto un fascicolo a carico di ignoti. Per ora è contestato il solo reato di incendio colposo. Prima di contestare anche le lesioni colpose, il pm attende di raccogliere ulteriori elementi. Alcuni residenti hanno riferito che da giorni sentivano odore di gas, ma pare che nessuno abbia chiesto l’intervento dei tecnici o abbia chiamato il 112. «Noi non l’abbiamo mai sentito» spiega Hamed.

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