Morto dopo la lite al semaforo, la difesa dell’imputato: «Quella manovra fu fatta per difendersi, non per speronare»

IL PROCESSO. Il difensore del conducente che causò lo schianto in cui morì il motociclista Walter Monguzzi, il 30 ottobre 2022 a Montello: «L’imputato partì per primo, voleva solo andarsene». Nella scorsa udienza il pm ha chiesto la condanna a 24 anni.

Non punibilità per legittima difesa, o eccesso colposo di legittima difesa. Sono le richieste, in via principale, avanzate dall’avvocato Andrea Pezzotta, che con il collega Nicola Stocco assiste il magazziniere di 50 anni, V. B., accusato di omicidio volontario aggravato dai futili motivi per la morte del motociclista Walter Monguzzi, 55 anni, di Osio Sotto. Un tragico epilogo di quella che era iniziata come una banale lite a un semaforo il 30 ottobre 2022 a Montello, culminata nella caduta del motociclista poi travolto da un’auto Bmw che sopraggiungeva dalla corsia opposta.

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Telecamera e testimoni

Il legale, davanti alla Corte presieduta dal giudice Giovanni Petillo, ha ricostruito gli eventi di quei tre-quattro secondi, durante i quali la telecamera in zona non ha registrato. E lo ha fatto evidenziando le dichiarazioni di altri due testi (quindi non solo della donna alla guida dell’auto dietro quella dell’imputato), e le valutazioni del medico legale secondo il quale «se non fosse sopraggiunta l’auto le conseguenze non sarebbero state queste», e il fatto che la Bmw che ha poi travolto la vittima viaggiasse al di sopra dei limiti. Oltre al comportamento della stessa vittima, che «vuole proseguire nella discussione» dopo il battibecco al semaforo. Se le prime richieste non trovassero accoglimento, ha ritenuto il legale, potrebbe essere configurato un «concorso di cause», quindi il fatto che il decesso è stato una conseguenza anche di altre azioni. Per l’imputato, l’accusa ha chiesto la condanna a 24 anni.

Il ruolo della Bmw

L’automobilista, che arriva dal senso opposto, è stato «graziato da questo processo, si è trattato di un’assoluzione preventiva ma ingiustificata», ha rilevato Pezzotta. Precisando: «Lungi da me volere un imputato in più, ma è pacifico che abbia una responsabilità colposa nella morte di Monguzzi». Secondo l’avvocato «il pm e la parte civile non hanno ricostruito i fatti in maniera corretta, hanno stravolto delle parti e dimenticato altre». E in primo piano, nella sua arringa, anche il comportamento di quella che è poi diventata la vittima. Evidenziando le parole di uno dei presenti al fatto, concentrandosi su quanto accade dopo che il semaforo diventa verde: l’imputato «parte per primo e cerca di allontanarsi, Monguzzi parte dopo», e lo fa in modo «concitato», accelerando. Solo quando raggiunge l’auto «l’accelerazione cessò». Pezzotta evidenzia più volte questo passaggio, ritenendo che si possa leggere come la volontà di Monguzzi – e non del suo assistito – di proseguire la discussione. Mentre il movimento dell’auto verso sinistra, per far spostare la moto verso il centro della carreggiata non rappresenta dei tentativi di speronamento «ma manovre graduali di spingerlo verso un tratto di strada libera, con l’unico intento di fargli fare ciò che lui non voleva fare: andare via». Se avesse voluto speronarlo «l’avrebbe fatto già in questa fase di movimento». Il legale ha poi parlato dei calci dati dalla vittima alla portiera dell’auto, e – sempre usando le parole del testimone oculare – il momento del terzo calcio «questa volta un po’ più in alto», mettendosi così in una posizione «precaria».

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La richiesta dell’avvocato, rivolta alla Corte, è stato di immedesimarsi in quanto vissuto dentro la Panda dell’imputato. Che non poteva allontanarsi in quanto alla guida di un mezzo meno potente della vittima, che si è sentito in una situazione di pericolo («ha percepito la presenza degli altri motociclisti come fossero un gruppo»), e che ha reagito ai calci alla portiera sterzando. Una reazione che non era legata alla lite, quanto al timore «di subire un’aggressione». Se la condotta non è legata alla lite, quindi, decadrebbe l’ipotesi dei futili motivi. Pezzotta ha anche ritenuto che, se ci fosse dolo «l’unico eventuale è di lesioni», e non legato all’evento morte: «Che ragione poteva avere per volere, o accettare la morte di Monguzzi» che neanche conosceva. Il 18 dicembre, le eventuali repliche e la sentenza.

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