Bimba morta di stenti, chiesto l’ergastolo per la madre

IL PROCESSO. Il pm nell’udienza di venerdì 12 aprile: Alessia Pifferi responsabile dell’uccisione, sofferenze atroci per Diana. Lei: non sono un’assassina, sto già pagando per la perdita della mia bambina.

«Non sono un’assassina, né un mostro. Non ho mai pensato e mai premeditato che potesse accadere una cosa così orribile a Diana. Sto già pagando il mio ergastolo avendo perso la mia bambina». Così, venerdì 12 aprile, Alessia Pifferi, rendendo dichiarazioni spontanee nel processo in cui la trentottenne milanese, attualmente reclusa a San Vittore, figura imputata davanti ai giudici di Corte d’Assise di Milano perché avrebbe fatto morire di stenti la figlia nata 18 mesi prima a Leffe, nella casa dove viveva con il compagno dell’epoca, che lasciò da sola per sei giorni durante il caldissimo luglio di due anni fa in un bilocale di Ponte Lambro, periferia sud di Milano.

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Di tutt’altra opinione il pm Francesco De Tommasi. Al termine di quasi sei ore di requisitoria, rivolgendosi ai giudici, il pm ha chiesto «di dichiarare Pifferi responsabile dell’uccisione volontaria di sua figlia, commentando il reato più grave di cui una madre può macchiarsi», e «di condannarla all’ergastolo per aver inflitto a Diana sofferenze atroci e averla privata così presto della possibilità di farsi una vita».

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«Non ha avuto il coraggio di ucciderla e ha lasciato che fosse il destino a farlo», ha puntato l’indice De Tommasi, ricostruendo quanto accaduto a partire dal 14 luglio del 2022. Quel giorno Pifferi uscì dalla casa di via Parea per trascorrere una settimana in compagnia del suo compagno, un elettricista di Leffe conosciuto in una chat di incontri, il primo di diverse persone a cui mentirà su dove si trovasse Diana in quei giorni, dicendo che era al mare in Liguria dalla sorella. Prenotò un Ncc (Noleggio con conducente) lasciando in casa la bambina con le finestre aperte, dentro a un lettino, con una bottiglietta d’acqua e un biberon di latte. Il cadavere della piccola fu trovato dalla madre il 20 luglio.

Il pm contesta l’aggravante della premeditazione oltre a quelle dei futili motivi e del rapporto di parentela. «Dobbiamo prendere atto delle atroci sofferenze che questa bambina ha sofferto. Della paura che ha provato, della fame e della sete» ha detto De Tommasi, che ha rimarcato anche come non fosse la prima volta che la donna lasciava sola la bambina. «Allora l’unico desiderio dell’imputata – ha detto il pm – era alimentare la sua relazione amorosa, oggi il suo unico scopo è eludere le conseguenze delle sue azioni di cui è assolutamente consapevole». Nell’udienza del 13 maggio discuteranno l’avvocato Emanuele De Mitri, legale della sorella e della madre dell’imputata, parte offesa nel processo, e poi prenderà la parola l’avvocatessa Alessia Pontenani, legale di Alessia Pifferi.

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