Economia / Bergamo Città
Domenica 16 Novembre 2025
Negli uffici pubblici bergamaschi più giovani ma precari
I DATI INPS. In 10 anni i dipendenti sono cresciuti del 12,4%, più che raddoppiati gli under 35. Ma l’età media è 50 anni. Bene il comparto scuola, sanità e forze dell’ordine, faticano gli enti locali (-1,6%). I sindacati: «Stipendi non adeguati».
Le criticità ci sono: l’attrattività, gli stipendi non sempre competitivi, una certa rigidità che fatica a tenere il passo con i tempi. Però, il pubblico impiego cresce e crescono soprattutto i giovani che ne fanno parte. In un decennio, dal 2014 al 2024, il numero totale dei dipendenti pubblici in Bergamasca è aumentato del 12,4%, ma soprattutto sono più che raddoppiati (+110,3%) quelli under 35.
È stato un periodo di profonde trasformazioni, attraversato dalla pandemia e dal rilancio attraverso il Pnrr, e il risultato è quello condensato negli ultimi dati dell’Inps. Lo scorso anno in tutta la provincia di Bergamo la pubblica amministrazione (Pa) risultava composto da 46.291 unità, 5.100 in più rispetto al 2014. A espandersi, in questo arco temporale, è stato soprattutto il comparto della scuola (da 19.790 a 23.564 occupati, +19,1%), che rappresenta sostanzialmente la metà della Pa. Ma hanno fatto un balzo importante, in proporzione, anche le forze dell’ordine, le forze armate e i vigili del fuoco (comprendendo tutte le professionalità, +39,4% passando da 2.222 a 3.098 lavoratori) e pure il servizio sanitario (da 9.595 a 10.542 occupati, +9,9%) e l’ambito dell’università e della ricerca (da 570 a 884, +55,1%).
È stato un periodo di profonde trasformazioni, attraversato dalla pandemia e dal rilancio attraverso il Pnrr, e il risultato è quello condensato negli ultimi dati dell’Inps. Lo scorso anno in tutta la provincia di Bergamo la pubblica amministrazione (Pa) risultava composto da 46.291 unità, 5.100 in più rispetto al 2014
In controtendenza, sostanzialmente, ci sono solo gli enti locali: è una fatica nota, quella testimoniata dai tanti concorsi che vanno deserti soprattutto per le figure di più alto profilo, e dunque non è un caso che nel decennio questo ramo della Pa abbia visto ridursi dell’1,6% i propri organici (da 6.448 a 6.345 addetti). La mole del pubblico impiego, oggi, «risente ancora in positivo delle assunzioni varate nel periodo del Covid, soprattutto in sanità, e dei bandi del Pnrr – è la lettura di Maurizio Lorini, segretario generale della Cisl Fp Bergamo -, anche se in alcuni rami, e soprattutto sugli enti locali, si vede già una contrazione». «In generale, in Bergamasca il lavoro pubblico continua a scontare un problema di attrattività – riconosce Giorgio Locatelli, segretario generale della Fp Cgil Bergamo –. Soprattutto, manca la valorizzazione sulle alte professionalità tecniche amministrative: architetti e ingegneri sono stati fondamentali per i piani del Pnrr, per elaborare i proteggi per accedere ai fondi, così come decisivo è il ruolo del Rup (il responsabile unico del procedimento, ndr), ma oggi non se ne trovano più. Non perché il nostro territorio non ne produca, ma perché un neolaureato ha altre ambizioni». Incide anche una sfumatura «demografica»: «I nostri Comuni sono tutti medio-piccoli, molti dispersi lungo le valli – ragiona Locatelli –. Nell’hinterland di Milano i comuni sono invece tutti medio-grandi e possono permettersi salari accessori di un certo tipo». Tra l’altro, se si torna al 2014, allora si vedevano nitidamente gli effetti di politiche oggi superate. Il cui impatto, rileva il coordinatore territoriale della Uil Bergamo Pasquale Papaianni, «ha di fatto impedito a una generazione, quella dei nati negli anni Ottanta, di entrare nella pubblica amministrazione: decreto Brunetta, spending review e decreto Monti per un decennio hanno bloccato le assunzioni. Ora, prima col Pnrr e poi con lo sblocco del turnover, la pubblica amministrazione è stata rafforzata, nonostante retribuzioni non adeguate al costo della vita, soprattutto al Nord». E ancora, aggiunge Lorini, «hanno un effetto anche l’innovazione, che per esempio nelle anagrafi ha portato a un minor fabbisogno di personale, e le esternalizzazioni, come avvenuto nei servizi per l’infanzia».
I giovani (e i precari)
Non s’è invece risolto l’atavico problema del precariato. Nel 2014 i lavoratori a tempo determinato del pubblico erano 6.028, nel 2024 se ne sono contati 8.943: il 48,4% in più, un ritmo decisamente più forte della crescita complessiva degli occupati
Ecco. Al netto dell’«appeal» spesso discusso di lavorare per lo Stato, l’oggettività delle cifre restituisce un pubblico impiego più giovane. Sempre con riguardo alla Bergamasca, nel 2014 il settore vedeva un totale di 4.252 assunti under 35: nel 2024 si è saliti a 8.944, cioè 4.692 in più. «I giovani si concentrano tra sanità e scuola», spiega Locatelli, ma anche «nella giustizia, con l’Ufficio per il processo», annota Papaianni. Ma quindi piace o no, il lavoro pubblico? «L’aumento dei giovani può stupire – riconosce Lorini –, benché l’età media della Pa rimanga ancora sopra i 50 anni. Probabilmente è in corso un cambio di approccio: oggi il pubblico impiego non viene più visto come il lavoro della vita, il posto fisso che non si cambierà mai, ma come una tappa della propria carriera. Fa curriculum, soprattutto se si ricoprono posizioni da funzionario poi spendibili anche nel privato: oggi un giovane può scegliere di entrare nella pubblica amministrazione, maturare competenze e dopo qualche anno spostarsi nel privato».
Non s’è invece risolto l’atavico problema del precariato. Nel 2014 i lavoratori a tempo determinato del pubblico erano 6.028, nel 2024 se ne sono contati 8.943: il 48,4% in più, un ritmo decisamente più forte della crescita complessiva degli occupati. «Si concentrano soprattutto nella scuola», nota Papaianni, mentre Locatelli riporta l’attenzione agli stipendi: «La preintesa sul nuovo contratto nazionale (che la Cgil non ha sottoscritto, ndr) contiene un aumento del 5,78%, ma nel triennio l’inflazione è stata del 17%. Si rischia l’impoverimento pianificato».
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