Al voto Ue sul riarmo l’Italia si divide

MONDO. Italiani divisi nel cruciale voto al Parlamento europeo sul sostegno all’Ucraina e sul piano di riarmo dei Paesi dell’Unione (ReArmEU) proposto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

I 76 europarlamentari di maggioranza e di opposizione sono andati in ordine sparso dividendo le rispettive coalizioni di centrodestra e centrosinistra. In più, ma non è una novità, il Pd a sua volta si è spaccato in due come una mela. Certo non è stata una dimostrazione di compattezza nazionale di fronte alle sfide esistenziali che sono di fronte all’Europa. Ma andiamo con ordine. Il caso più clamoroso, dicevamo, è quello del Pd. Il voto è andato così: 10 a favore della risoluzione (Bonaccini, Decaro, Gualmini, Picerno, Tinagli, ecc.) e 11 astenuti (tra cui il capogruppo Nicola Zingaretti) secondo l’indicazione della segretaria Elly Schlein che ha così evitato un clamoroso «no» dei pacifisti Tarquinio e Strada.

Il voto spaccato nel Pd

Per un pelo dunque la linea della segretaria non è stata messa in minoranza nella delegazione di Strasburgo, ma l’esito del voto non solo ha dimostrato che su un tema fondamentale come questo il Pd non ha una linea e la segretaria non riesce a coagulare sulle sue posizioni il partito o almeno una larga maggioranza di esso. Ma il voto ha anche collocato il Pd nell’angolo delle astensioni (46 in tutto il Parlamento) e in sostanza nella zona dell’inconsistenza politica e dell’isolamento, dal momento che il Pse, cui il Pd aderisce, ha votato a favore del piano di Ursula von der Leyen.

Schlein non ha dubbi: «Vogliamo la difesa europea, la politica estera europea, l’azione di pace europea e insieme le politiche sociali, green, digitali, per la coesione e lo sviluppo» – insomma di tutto un po’ - «ma non vogliamo il riarmo dei singoli Paesi»

Schlein non ha dubbi: «Vogliamo la difesa europea, la politica estera europea, l’azione di pace europea e insieme le politiche sociali, green, digitali, per la coesione e lo sviluppo» – insomma di tutto un po’ - «ma non vogliamo il riarmo dei singoli Paesi», che invece viene considerato dai suoi sostenitori la misura di emergenza indispensabile per reagire al pericolo costituito dall’imperialismo russo.

Del resto invocare oggi la difesa europea dopo che per decenni non si è riusciti a impiantarla dai tempi in cui ci provarono De Gasperi e gli altri padri della patria, ha un po’ il sapore dell’artificio verbale. Il punto è che Schlein non vuole farsi superare a sinistra dal pacifismo spinto del M5S e di Avs, convintamente contrari al piano von der Leyen e meno attorcigliati come il Pd alle discussioni senza fine tra le tante anime di partito, il cui risultato è l’irrilevanza politica. In ogni caso, come si è visto il centrosinistra si è diviso così. Ma non per questo il centrodestra sta meglio. Forza Italia, come tutto il Ppe, ha votato convintamente a favore del piano europeo di riarmo; anche Fratelli d’Italia ha votato a favore ma poi si è astenuto sul documento di sostegno all’Ucraina perché ai meloniani è apparso troppo polemico con Trump.

Il voto contrario della Lega

Chi si è sentito libero di fare come preferisce al di là di ogni vincolo di governo e di maggioranza, è la Lega che ha votato no a tutto, alle armi, al sostegno all’Ucraina e a tutto il resto, secondo la linea Salvini-Vannacci. Insomma, la delegazione degli italiani si è distinta soprattutto per le liti tra i suoi componenti. Ma c’è un elemento importante che, nella stessa giornata del voto a Strasburgo va sottolineata: dopo quarantott’ore di riflessione, Giorgia Meloni ha deciso che non parteciperà sabato alla call dei «volenterosi» convocati da Macron e Starmer per verificare la fattibilità di una forza di interposizione europea tra russi e ucraini. Alla premier italiana non piace il «formato» della riunione e soprattutto non piace il protagonismo assunto da francesi e inglesi che puntano ad una reazione molto severa nei confronti dell’offensiva trumpiana contro l’Europa.

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