Bergoglio sempre più leader mondiale

Ha strappato la maschera dal volto di chi giustifica «l’operazione militare speciale» come indispensabile strumento di garanzia politica a protezione dell’eredità di gloriose vestigia imperiali. Ha nettamente sbaragliato la vecchia logica delle geopolitiche vecchio stile, quelle della rivendicazione di storiche aree di influenza.

Sembrava una logica definitivamente finita in soffitta, stracciata dalla competizione globale. L’invasione dell’Ucraina invece dimostra il contrario e ieri Jorge Mario Bergoglio, appena atterrato a Malta, ha rimesso le cose a posto inchiodando il mondo ad un’analisi che fin qui nessun leader ha osato proporre. Con un’aggiunta non da poco, per sottolineare che, da quelle logiche obsolete, lui si tiene alla larga. Sull’aereo in volo da Roma ha confermato che un viaggio a Kiev «è sul tavolo», perché lì si soffre, perché Kiev è il luogo delle ferite aperte, perché oggi è l’Ucraina il quadrante più delicato della geopolitica impazzita, che imprigiona e schianta aggressori e aggrediti.

La traiettoria dei viaggi di Bergoglio fin qui ha disegnato il perimetro di periferie sconquassate, fin dal primo a Lampedusa. Da due settimane la Santa Sede sta organizzando la missione. Se andrà, le sue parole di ieri a Malta ne sono la ragione e la giustificazione, parole non comuni, condanna chiara e senza appello per chi interpreta la politica internazionale sulla base delle proprie ambizioni personali. Non ha mai nominato Putin e la Russia. Ma ha ripetuto per dieci volte la parola guerra. Ha usato sempre il plurale segno che la situazione è davvero tragica e le responsabilità sono di molti, di tutti quelli che hanno demolito il multilateralismo, che hanno riproposto la logica di Berlino, dei muri, della corsa agli armamenti, delle aree di influenza strategica e commerciale di solito contrapposte, che gonfia i portafogli dell’industria e sostiene le politiche di chi si presenta come leader, ma è molto lontano dall’essere uno statista. Insomma la logica degli interessi nazionali che si allargano fino a diventare nuovi imperi.

Si è cominciato qualche anno fa con l’American first di Donald Trump, si è finiti a Vladimir Putin con le magnifiche sorti progressive spalmate col sangue in Ucraina. Il risultato è una trappola per le popolazioni e un colpo di maglio alla pace. Francesco non poteva dirlo con maggior chiarezza: «E mentre ancora una volta qualche potente, tristemente racchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalistici, provoca e fomenta conflitti, la gente comune avverte il bisogno di costruire un futuro che, o sarà insieme, o non sarà».

Bergoglio ha deciso così di mescolarsi con chi vive nel luogo dove la ferita aperta dalla pazza logica della guerra pulsa di sangue. Come ha fatto l’anno scorso in Iraq vuole toccarla: «Il viaggio è sul tavolo». Ma non arretra di un millimetro sull’ermeneutica della guerra: «La guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi». Ripropone il ragionamento della vecchia logica e avverte che avrà conseguenze critiche domani «con pochi potenti che vanno per conto proprio alla ricerca di spazi e di zone di influenza», mentre tutto il resto, dalla fame alle diseguaglianze, sarà «derubricato nelle agende mondiali». Di cosa si tratta? Il Papa ha risposto con parole amare prese in prestito da Giorgio la Pira: «Incredibile infantilismo». È una denuncia spietata dell’ immaturità, ingenuità e soprattutto scarsezza di senno che oggi connota la classe politica globale e che ci porterà a una «guerra fredda allargata», concetto inedito nell’analisi di Bergoglio, spuntato ieri a Malta e destinato, purtroppo, a segnare il futuro in mancanza di un nuovo ordine mondiale delle cose.

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