Bielorussia, la partita a scacchi dello zar

Mondo.Vladimir Putin in Bielorussia, paura in Ucraina. Cosa stia ancora architettando il capo del Cremlino è quanto si domanda da ore il fior fiore degli specialisti nelle cancellerie di mezzo mondo. Ucraini e occidentali non si fidano, ricordando che il primo attacco russo verso Kiev nel febbraio scorso, incominciò proprio dal territorio bielorusso dopo manovre congiunte.

Per questo, ha reso noto il viceministro ucraino degli Interni Enin, la difesa del confine nord è stata rafforzata. I vertici militari ucraini paventano ora l’aperturadi un nuovo fronte, voluto dal Cremlino, anche per distogliere forze di Kiev dal Donbass e dalla regione di Kherson.

Dal vertice bilaterale di Minsk si è saputo che la Russia ha consegnato alla Bielorussia i sistemi di difesa antiaerea S-400 e i missili Iskander; probabilmente continuerà l’addestramento dei piloti bielorussi all’uso di armi sofisticate e certamente proseguiranno le manovre congiunte.

Lukashenko e Putin hanno poi convenuto di pensare alla futura costituzione di un unico spazio di difesa comune dei loro due Paesi. Ma il loro assoluto silenzio in pubblico sulla tragedia ucraina lascia molto da riflettere e da temere per il prossimo futuro. Secondo gli analisti occidentali se mai i bielorussi dovessero attaccare, unendosi ai russi, rischierebbero perdite pesantissime, poiché le loro Forze armate sono antiquate negli armamenti rispetto a quelle ucraine, che sono per di più abituate da 8 anni a misurarsi in un conflitto sanguinoso.

Ma non solo: l’Esercito di Minsk dovrebbe oltrepassare e occupare la fascia di Cernobyl, mettendo in serio pericolo la vita dei propri uomini se essi dovessero essere lì imbottigliati dagli ucraini, come è già successo ai russi. Di conseguenza: prossimo intervento diretto bielorusso a sostegno di Mosca o semplice bluff per costringere Kiev a richiamare truppe dai fronti orientale e meridionale? Nessuno in Ucraina e in Occidente si fida di Vladimir Putin, dopo quanto successo tra il novembre 2021 e il febbraio 2022. Troppe furono allora le finte e le false dichiarazioni, negando l’evidenza di un’invasione imminente, decisa da tempo. Adesso, prima di volare al summit con Lukashenko – il primo a Minsk dopo 3 anni - il capo del Cremlino ha passato mezza giornata con i suoi alti ufficiali che dirigono la «Campagna speciale militare».

Una coincidenza? Chissà. Per anni, dopo il 2014 Lukashenko ha svolto l’impossibile ruolo di mediatore tra Mosca e Kiev, ma - dopo le proteste di massa, represse nel sangue, seguite alle presidenziali con brogli dell’agosto 2020, – molte cose sono cambiate. Anche perché Minsk, che non ha riconosciuto l’annessione della Crimea da parte di Mosca – probabilmente avendo paura in futuro di fare la stessa fine inglobata come regione nella Grande Madre Russia -, ha nel capo del Cremlino l’unico vero alleato, disposto ancora a prestarle denaro e in pratica pronto a mantenere in piedi il suo Stato.

Triste, ce lo si consenta evidenziare è la condizione dei tanti democratici e liberali bielorussi sfuggiti alle grinfie di Lukashenko, etichettato dagli americani come «l’ultimo dittatore d’Europa». Tra agosto e dicembre 2020 migliaia di persone sono state pestate nelle piazze dalle unità speciali, sono finite in carcere o costrette all’esilio.

Adesso questi stessi anti-Lukashenko, alcuni obbligati a lasciare l’Ucraina dove erano riparati, sono visti non più come vittime di una geopolitica impazzita al tempo della globalizzazione. Farla rinsavire il prima possibile è l’arduo compito della comunità internazionale.

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