Con l’India un ponte non scontato e strategico

Il commento. L’India ha sbalzato l’Italia dal settimo posto all’ottavo nella graduatoria dei Paesi industrializzati. Il Pil indiano, con 3.356 miliardi di dollari, è quinto nel mondo dopo la Germania. La visita ufficiale di Giorgia Meloni nel Paese di Gandhi rende evidente quel che prima della guerra in Ucraina era oscurato dalla potenza cinese.

Per spese militari l’India è al quarto posto dopo gli Usa, la Cina e la Russia e le sue forze armate sono per lo più dispiegate a nord, là dove la Cina batte e il confine è da sempre caldo. Ecco perché la penisola immersa nell’Oceano Indiano è di colpo diventata interessante. È con il suo miliardo e 400mila abitanti la naturale alternativa al mercato cinese.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha un problema: il 40% delle autovetture prodotte da Volkswagen finisce nell’impero del Dragone, la Cina è il primo partner commerciale. Ieri il cancelliere federale Scholz era in visita a Washington. Due ore di colloqui con Biden a porte chiuse senza giornalisti. Si tratta di rassicurare gli americani che temono un’alleanza industriale con i Paesi autocratici. Visto da Washington ne va dell’egemonia americana e quindi anglosassone nel mondo. Poi c’è l’Ira (Inflation Reduction Act) che non fa dormire sonni tranquilli a Berlino. Diversi colossi tedeschi dell’industria già si muovono verso gli Stati Uniti dove gli investimenti in virtù delle sovvenzioni al made in Usa sono di molto più convenienti.

Così anche per la Germania, l’India diventa strategica. A New Delhi il capo del governo tedesco firma un accordo che di fatto cancella le barriere burocratiche e rende automatico per una ditta tedesca l’assunzione di un giovane indiano. Le pratiche, la conoscenza della lingua seguiranno. Gli indiani sono appetiti perché ben preparati soprattutto sul piano tecnologico e informatico. Merce sempre più rara in Europa. Sul conflitto russo-ucraino solo frasi di circostanza per compiacere l’alleato americano diffidente e in ascolto e non irritare il padrone di casa che fa dell’equidistanza il suo marchio di fabbrica.

Narendra Modi ha unito il suo Paese in nome dell’orgoglio nazionale e ora aspira a guidare quei circa cinquanta Paesi che sul conflitto ucraino si astengono e fanno capire che l’Occidente non può pretendere solidarietà se prima non la manifesta nei fatti verso i poveri e i negletti del mondo. Farsi amico il primo ministro indiano vuol dire aprire le porte di tutti quei Paesi che per esempio sulla questione migranti o sulle terre rare o sulla collaborazione energetica fanno orecchio da mercante con l’Europa. Giorgia Meloni ha capito la centralità indiana e la esplicita nel documento finale quando parla delle connessioni tra Mediterraneo e Indo-Pacifico. Il ruolo italiano non era così scontato visti i precedenti del l’arresto nel 2012 dei marò di scorta su una petroliera. In uno scontro in mare aperto i fucilieri di marina scambiarono pescatori indiani per pirati e spararono. Furono imprigionati nel Kerala. E poi per la fornitura di velivoli da parte di Agusta Westland quando agli italiani vennero mosse accuse di corruzione. Ma ora l’Italia, pur nella fedeltà all’impegno con l’Ucraina, si ritaglia uno spazio di manovra che in Europa è unico.

E chiede al primo ministro indiano di mediare fra le parti in conflitto in qualità di presidente in carica del G20. A suo tempo Meloni aveva offerto la disponibilità di Roma a eventuali trattative che portassero ad un avvicinamento tra i due belligeranti. Non è cosa del momento ma sono gli indispensabili primi passi per poter avviare un percorso dove la diplomazia prenda il posto delle armi. Poi c’è il partenariato strategico, gli accordi commerciali e persino le esercitazioni militari congiunte. Ma quel che conta è l’occhio e questa volta a Roma han visto lungo.

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