Gli obiettivi di Putin ribaltati dalla realtà

Si parla di eterogenesi dei fini quando l’esito di un’azione umana si conferma il contrario del fine perseguito. Un esempio: il comunismo si proponeva di costruire una società di giusti e ha realizzato una società dispotica. Altro esempio: il fascismo voleva riportare Roma ai fasti imperiali dell’antichità e l’ha sprofondata nel gorgo di una guerra distruttiva. Qualcosa del genere sta capitando a Putin. Voleva diventare il novello zar di tutte le Russie e si ritrova oggi in affanno a mantenere integra la forza della sua piccola Russia e saldo il suo potere.

Riesca o meno, alla fine di questa devastante opera di conquista di una regione dell’Ucraina (solo il Donbass o l’intera fascia litoranea fino a Odessa), non avrà un trionfo da festeggiare, ma una mezza sconfitta da oscurare al suo popolo. La tanto decantata «operazione militare speciale» si è trasformata, infatti, in una devastante guerra di cui peraltro non si vede ancora la fine. Altro che facile vittoria, l’invasione dell’Ucraina si sta rivelando insieme un fiasco militare, un errore politico, una smentita ideologica.

Un fiasco militare. Il presidente della Federazione russa non solo ha mancato il colpo di annientare con un’operazione lampo l’indifesa Ucraina. Non solo ha visto sfumare, in ordine di tempo e d’importanza, prima il progetto più ambizioso di installare a Kiev un governo fantoccio, poi la soluzione di ripiego di prender possesso almeno della capitale, infine il risultato minimale di riuscire, per quanto a fatica, ad avere la meglio di un esercito pur inferiore per armamenti, mezzi e uomini. D’ora in poi la Russia non potrà più vantarsi di essere una grande potenza mondiale, ma solo una media potenza regionale.

Un errore politico. Molteplici e di gran peso erano i fini che Putin si riprometteva di realizzare. Dimostrare al mondo che la grande Russia era capace di riscrivere l’ordine internazionale. Aggravare la lacerazione interna dell’Europa, aprendo un varco tra filo-atlantici e filo-russi, premessa questa di una successiva incorporazione della parte orientale del Vecchio Continente. Affossare ogni possibilità dell’Ue di farsi Stato e nazione. Infliggere un colpo mortale alla Nato, considerata già in «morte cerebrale». Sgomberare i propri confini dalla presenza d’installazioni missilistiche nemiche.

Nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto. L’Europa è più unita che mai. La Russia è più isolata che mai. La Nato è più forte (e ingrandita) che mai. Da ultimo, con la prossima entrata nell’Organizzazione militare atlantica di Svezia e Finlandia, più estesi che mai sono i confini che mettono la Russia fronte a fronte con il nemico.

Smentita ideologica. Una volta dimostrato al mondo intero che l’Europa e - si supponeva - anche l’America, ormai ripiegata su di sé dopo il ritiro inglorioso dall’Afghanistan, sono semplicemente delle tigri di carta, Putin sperava di celebrare il passaggio storico dall’«era delle democrazie» all’«era delle autocrazie». Una pietra tombale sarebbe stata stesa sull’Occidente: un mondo decrepito, sfiduciato, ormai arreso alle nuove emergenti civiltà euro-asiatiche della Russia e della Cina, civiltà dimostratesi moralmente più vitali, organizzativamente più efficienti, economicamente più dinamiche, infine anche militarmente più forti. La serie di facili vittorie riportate nel 2004 in Georgia, nel 2009 in Cecenia, nel 2014 in Crimea senza che l’Occidente accennasse a una vera reazione, aveva spinto Putin a pensare di poter coronare senza (quasi) colpo ferire il suo sogno di far risorgere l’impero perso con il collasso dell’Urss, a suo dire «la maggiore catastrofe geopolitica del XX secolo». Dicevano gli antichi greci che il futuro è in grembo di Giove. Giove questa volta sembra proprio che abbia riservato all’aspirante zar, non la realizzazione, ma l’eterogenesi dei suoi fini.

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