Guerra in Ucraina, non si vede la luce

Mondo. La guerra in Ucraina corre tragicamente verso l’11° mese dal suo inizio, senza prospettive ravvicinate di un cessate il fuoco se non di un serio negoziato di pace.

Rischia così di diventare uno dei tanti, troppi conflitti cronicizzati che insanguinano il mondo. Restano infatti ampie le distanze fra gli aggressori, che puntano a consistenti conquiste territoriali in nome dell’ideologia ultra nazionalista della Grande Russia, e gli aggrediti, che chiedono il ripristino dei confini violati, seppure riconosciuti dalla comunità internazionale e da Mosca nel 1991, nuovamente dal Cremlino nel 1994 con la sigla del memorandum di Budapest, in base al quale Kiev rinunciava agli ordigni nucleari dell’era sovietica in cambio dell’integrità territoriale di uno Stato indipendente e sovrano nato da soli tre anni. Ma il conflitto ha travolto anche la storia, lungo una faglia che separa definitivamente l’Ucraina, proiettata verso l’Europa, e la Russia, rinserrata nella nostalgia di un passato imperiale riaggiornato nel linguaggio e nell’esibizione muscolare sia interna che esterna. Nel Paese invaso si possono leggere cartelli con un pronunciamento - «Meglio morti che vivere sotto Mosca» - che spiega più di mille discorsi la caparbietà e la totalità della resistenza militare e civile contro l’invasore.

Dal 10 ottobre scorso il Cremlino ha lanciato dieci attacchi su larga scala con missili e droni a intervalli di sette-dodici giorni contro le città e le centrali elettriche ucraine per demoralizzare la popolazione e costringerla alla fuga prima dell’arrivo della primavera. Tra una settimana la temperatura crollerà di molti gradi sotto lo zero. Ma quella popolazione ha fin qui resistito, supplendo all’assenza di energia con generatori e candele e grazie alla solidarietà locale e internazionale. Dal 24 febbraio scorso sull’Ucraina sono caduti quasi 4mila fra missili a lunga gittata e droni esplosivi di produzione iraniana. E poi le fosse comuni ritrovate a Bucha, Irpin, Hostomel e Lyman, le migliaia di tombe individuate grazie a un’inchiesta giornalistica della «Associated press» con sistemi satellitari nella zona di Mariupol, città ucraina nel Donbass annessa illegalmente alla Russia, dalla quale risultavano scomparse 20mila persone. Secondo tre archeologi forensi esperti in indagini su crimini di guerra e fosse comuni, l’analisi dell’«Ap» è valida: sulla base di questi rilievi, si stima che le 25mila vittime ufficiali del conflitto potrebbero essere il triplo. La popolazione ucraina di fronte a questo abominio ha reagito non fuggendo, ma rinsaldando la volontà di riparare a un grande torto. Un sentimento che aiuta a capire la vitale posta in gioco.

Ma anche i soldati muoiono a migliaia, su un fronte e sull’altro. Il tragico attacco missilistico, avvenuto nella notte tra domenica e ieri a Makiivka, nel Donetsk, ha colpito una scuola professionale trasformata in alloggio per le truppe di Mosca: secondo Kiev, avrebbe provocato circa 400 morti tra i soldati del Cremlino, per il ministero della Difesa russo invece sarebbero 63. Ma al di là dei numeri delle opposte propagande, il raid ha confermato la vulnerabilità dell’esercito invasore. Il presidente Vladimir Putin nei giorni scorsi ha pronunciato per la prima volta la parola bandita per legge, «guerra», a proposito di quella che finora chiamava «operazione militare speciale». Dal punto di vista dello «zar» il sotterfugio linguistico ha un senso: in Ucraina avrebbe voluto un raid di pochi giorni o settimane, il tempo di conquistare Kiev e insediare nella capitale un governo fantoccio. Ma la realtà vera, non quella autoreferenziale immaginata dall’autocrate e confermatagli dal suo fedelissimo entourage, ha imposto un’altra traiettoria all’invasione. Come insegna la storia bellica, non si può imporre l’invasione a discapito degli abitanti dei territori aggrediti che si oppongono compatti. Così il Cremlino verosimilmente lancerà una nuova offensiva in primavera, con l’obiettivo perlomeno di riconquistare l’intero Donbass: per questo si appresta a richiamare nell’esercito altre 500mila persone da spedire in Ucraina. Da un canale Telegram una ong pacifista di Mosca, riparata in Georgia, ha lanciato un appello ai renitenti affinché scappino subito, prima che vengano chiusi i confini della Russia.

Di fronte a questo macabro scenario, solo due attori esterni possono spingere per un negoziato, la Cina per la parte degli aggressori, gli Stati Uniti per gli aggrediti. Ma le due potenze avversarie si sono misurate con l’inestricabile (almeno per ora) braccio di ferro tra gli autori di una grande ingiustizia e chi le resiste. Così il conflitto in Ucraina rischia di cronicizzarsi, generando assuefazione nelle opinioni pubbliche. Un’altra guerra, l’ennesima. Ma questa è destinata ad avere ricadute in primis sugli equilibri dell’Europa, ridisegnando o ribadendo i suoi confini.

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