
(Foto di EPA/JIM LO SCALZO / POOL)
MONDO. Non si sa bene se sia una coincidenza lieta o sinistra.
Sta di fatto che l’inizio delle trattative tra Israele e i vertici di Hamas, in Egitto, coincide quasi perfettamente con il secondo anniversario delle stragi terroristiche del 7 ottobre 2023, quando 1.200 israeliani furono massacrati dai miliziani usciti dalla Striscia di Gaza e centinaia di migliaia di gazawi, in quel momento ancora ignari, si avviavano a subire la reazione di Israele. Quel 7 ottobre, proprio come l’11 settembre del 2001, è destinato a rimanere come una cicatrice indelebile sul tessuto di questo secolo, una pietra miliare che ha cambiato la storia di noi tutti.
Ovviamente l’ha cambiata, in primo luogo, per Israele e i palestinesi. Perché se alziamo gli occhi dalla cronaca, ci rendiamo conto che due anni fa è arrivato al culmine un processo iniziato molto tempo prima, in un giorno che dovremo commemorare tra poco, il 4 novembre del 1995, quando un colono estremista di nome Ygal Amir uccise il primo ministro Ytzhak Rabin, artefice con Yasser Arafat degli Accordi di Oslo del 1993. Amir era convinto che in nessun modo bisognasse trattare con i palestinesi, che qualunque patto sulla Terra di Israele fosse un atto blasfemo. Era, in poche parole, l’antesignano degli Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich che oggi tengono in piedi il Governo Netanyahu. In quel periodo Hamas, che pensava la stessa cosa riguardo a Israele e agli Accordi, scatenò un’ondata di kamikaze che uccisero decine e decine di israeliani. E il risultato fu che nel 1996 Benjamin Netanyahu, che da capo dell’opposizione aveva lanciato una feroce campagna contro Rabin, divenne primo ministro. Il più giovane nella storia di Israele.
Come si vede, le carte erano già tutte sul tavolo. Il 7 ottobre 2023 le ha infine fatte volare. Ed è proprio perché le stragi dei terroristi di Hamas e gli «atti di genocidio» (definizione della Commissione indipendente Onu) degli israeliani hanno quella lunga storia alle spalle che oggi è così difficile ricomporre il conflitto, come vorrebbe il Piano Trump. Abbiamo scritto su queste pagine che il Piano sembrava troppo bello per essere vero. Ha un pregio essenziale, l’unico che ora conti: può interrompere la strage quotidiana dei palestinesi. Ma per il resto, chiede ai due contendenti, di fatto, di riconoscere la sconfitta. Hamas deve, secondo il Piano, cedere le armi e sciogliersi, con i militanti chiamati a smobilitare in cambio dell’amnistia o ad andare in esilio all’estero. Netanyahu deve riconoscere che in due anni di massacri (e di perdite israeliane coperte dalla censura di Stato) non ha salvato gli ostaggi e non ha eliminato Hamas, con cui ancora oggi deve trattare.
Nati insieme o quasi, Hamas e Netanyahu rischiano di finire insieme se accetteranno il Piano Trump così com’è. Per questo ora, messi con le spalle al muro dall’immensità dei sacrifici chiesti ai gazawi (Hamas) e dalla crescente difficoltà nel promuovere il massacro con un Trump impegnato a fermarlo (Netanyahu), cercano abbastanza disperatamente di strappare l’ultima concessione, l’ultima condizione di maggior favore. Hamas chiede che le forze armate di Israele lascino la Striscia prima di liberare gli ostaggi, per poter dire (è allucinante ma i suoi capi ragionano così) abbiamo vinto, si sono ritirati. Netanyahu, all’opposto, vuole gli ostaggi prima di ritirarsi per poter dire anche lui che ha vinto, magari col pensiero nascosto di non ritirarsi mai, come in effetti racconta ai suoi appena si allontana dalla Casa Bianca.
E poi c’è la questione della futura gestione della Striscia. Hamas dice che mai i palestinesi dovranno essere subordinati a un comitato di stranieri, quello presieduto dallo stesso Trump. E lo dice chi ha imposto ai gazawi un regime all’incrocio tra il socialismo reale e lo Stato islamico. Ma anche Netanyahu vorrebbe altro, perché il Piano Trump immagina che la rinascita di Gaza e la riforma dell’Anp (che dovrebbe procedere in parallelo) siano le prime tappe «di un percorso verso l’autodeterminazione palestinese e la statualità, che noi riconosciamo come aspirazione del popolo palestinese». E ben sappiamo che cosa pensi Netanyahu di tutto ciò che ha a che fare con l’idea di uno Stato di Palestina. Tutto può ancora saltare, considerati i protagonisti. Ma stiamo parlando degli ultimi complotti di due grandi sconfitti.
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