Il mondo fragile
e lo spionaggio

Si chiama Pegasus, è un programma di spionaggio elettronico elaborato dall’azienda israeliana «Nso», venduto solo ad agenzie d’intelligence e a forze armate di nazioni straniere per combattere terrorismo e criminalità. Il software è così efficiente da costare 8 milioni di euro. Ma 17 testate nel mondo hanno riportato la notizia, diffusa dalla ong francese Forbidden Stories e da Amnesty International, del suo utilizzo da anni per sorvegliare 50 mila utenze telefoniche di 180 giornalisti, di politici, avvocati e addirittura di 13 capi di Stato di cui tre europei, da parte dei governi di Emirati arabi, Azerbaijan, Bahrain, India, Kazakhstan, Messico, Marocco, Ruanda, Arabia Saudita e perfino dall’Ungheria di Orban, che lo userebbe per controllare gli oppositori; 15 mila utenze sono messicane (c’era anche quella di un cronista specializzato nel racconto del narcotraffico, ucciso nel 2017, Cecilio Pineda Birto), 10 mila marocchine e altre 10 mila degli Emirati arabi. Sono 45 i Paesi di quattro continenti sotto il tiro di Pegasus, progettato per raccogliere messaggi di testo, intercettare telefonate, geolocalizzare l’utente e copiarne le password. Per questo è stato usato da molti governi nel passato per tenere sotto controllo le attività di chiunque potesse rappresentare, secondo il loro punto di vista, un pericolo per la sicurezza nazionale.

I giornalisti sotto osservazione sono in maggioranza investigativi, i guastafeste del potere. Pegasus ha pedinato tra questi anche Jamal Khashoggi, assassinato dall’intelligence saudita nel consolato di Riad a Istanbul, e 20 membri della sua famiglia. Anche in Italia è accaduto di recente che reporter dediti all’approfondimento sull’immigrazione e sulla Libia siano stati spiati ma ricorrendo a un metodo semplice: le intercettazioni telefoniche, che hanno prodotto da parte della procura di Trapani, titolare di un’inchiesta sulle navi delle ong, 300 pagine di trascrizioni di conversazioni. Ma i rapporti confidenziali dei cronisti con le loro fonti sono protetti dalla legge e la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha disposto accertamenti sull’inchiesta. Chi spia i giornalisti ne vuole carpire informazioni e fonti alle quali non può arrivare, capire «da che parte stanno». I dissidenti invece vengono pedinati per svelarne i progetti, i contatti e gli spostamenti.

Ieri c’è stata la corsa alla smentita dei governi chiamati in causa. Anche da parte di quello ungherese, che però non è un modello per la libertà di informazione. Il primo ministro Viktor Orban è il teorico della «democrazia illiberale», un ossimoro. Imprenditori del suo entourage hanno comprato giornali e tv allineandoli sulle posizioni governative. L’ultima radio indipendente, «Klubradio», è stata silenziata negandole la frequenza analogica che si era aggiudicata tramite un bando. L’Ue ha chiesto la ripresa delle trasmissioni e l’emittente si è trasferita sulla piattaforma internet. Il leader della Lega Matteo Salvini e la presidente di FdI Giorgia Meloni hanno stretto di recente un’alleanza con altri 13 partiti ultraconservatori europei, fra i quali quello di Orban, «Fidesz» (Unione civica ungherese). Non hanno nulla da dire sulla repressione della libertà d’informazione a Budapest?

Il ruolo di governi di Stati minori nel caso Pegasus è meno comprensibile: potrebbero però aver carpito informazioni per alleati geopoliticamente più importanti. Inquietante è il «pedinamento» di capi di Stato, custodi di verità importanti per i rispettivi Paesi.Per Edward Snowden, l’informatore che ha fatto trapelare un gran numero di informazioni riservate dalla National security agency americana nel 2013, «questa fuga di notizie sarà la storia dell’anno». Di certo mette in evidenza ancora una volta la fragilità dei sistemi informatici difensivi e la potenza crescente di quelli di spionaggio, l’illusione di vivere in un mondo nel quale la tecnologia ci protegge. L’azienda israeliana «Nso» nega che i dati siano trapelati dai suoi server e definisce il rapporto di Forbidden Stories «pieno di ipotesi errate e teorie non confermate». Ma secondo l’ex membro dell’intelligence Usa Timothy Summers con Pegasus si può spiare quasi l’intera popolazione mondiale: «Non c’è nulla di male - sostiene - nello sviluppare tecnologie che consentono di raccogliere dati. Ma l’umanità non è in una situazione di poter rendere accessibile a tutti tanto potere». Mentre ieri Usa ed Europa hanno contestato alla Cina la protezione di una raffica di attacchi hacker, arriva anche la voce flebile, come nelle guerre classiche, dell’Onu, un appello «per una migliore regolamentazione in materia di sorveglianza tecnologica». Già.

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