Il nuovo mondo tra Cina e Russia

Mondo. Charles Tilly, l’autorevole sociologo e politologo statunitense scomparso nel 2008, in un famoso saggio pubblicato mezzo secolo fa sosteneva che «sono le guerre che creano gli Stati». Un’affermazione tanto lapidaria quanto perfettamente aderente a ciò che sta accadendo oggi nell’invasa Ucraina.

In realtà, si tratta di un’invasione iniziata il 27 febbraio 2014, quando le truppe russe entrarono in Crimea e occuparono alcune aree delle regioni orientali del Paese, annettendole alla Federazione russa. In quell’occasione la reazione ucraina, in presenza di un governo poco autorevole, fu molto debole e altrettanto debole fu la reazione delle diplomazie occidentali rispetto ad accadimenti che certamente avrebbero dovuto richiedere un loro maggiore coinvolgimento.

La nuova e più consistente invasione da parte della Russia dello scorso anno, invece, ha dovuto fare i conti con un impegno militare molto forte dell’Ucraina che si è giovata della presenza di un nuovo governo democratico il cui leader, forte di un largo consenso popolare, è riuscito a ottenere assistenza finanziaria e militare da parte dell’Europa e degli Stati Uniti, consapevoli che questa nuova grande iniziativa bellica di Putin avrebbe potuto rappresentare un grave rischio per le democrazie occidentali. Tim Judah, famoso giornalista di «The Economist», nei suoi resoconti dall’Ucraina ha messo in evidenza come l’invasione russa abbia dato vita a un sentimento patriottico che non esisteva prima, condiviso da tutti i gruppi, compresi quelli russi. D’altro canto Lawrence Freedman, accademico e storico britannico specializzato in politica estera, ha scritto su «Foreign affairs» che la Russia «sta ricorrendo all’aggressione indiscriminata alla popolazione e alle infrastrutture dell’Ucraina per sopperire agli errori dei suoi comandi militari, ai ritardi tecnologici dei suoi armamenti e alle inefficienze delle sue catene di approvvigionamento». Evidentemente, questa situazione in cui si è venuta a trovare spiega perché la Russia intensifichi i deprecabili attacchi missilistici a infrastrutture civili e abbia sempre più frequentemente bisogno di minacciare il ricorso alle armi nucleari, pur incontrando la netta contrarietà dei suoi due maggiori alleati India e Cina, consapevoli che ciò darebbe avvio a una catastrofe mondiale.

La Cina, in particolare, ha iniziato a proporsi come intermediaria per la pace attraverso un Piano in 12 punti che, per il momento, appare assai vago e giudicato improponibile dai Paesi occidentali. Non è detto, però, che questa sua iniziativa non possa aprire a sviluppi concreti e decisivi in futuro (ieri Putin ha ricevuto a Mosca l’omologo cinese Xi Jinping). Lo si evince guardando a quanto avvenuto nell’edizione 2023 del World economic forum, tenutasi a Davos lo scorso gennaio. Al centro dei dibattiti tra Capi di Stato, economisti e grandi imprenditori è stato posto il problema del futuro della globalizzazione, in un’epoca di nazionalismi di ritorno, protezionismi invocati da più parti e rivalità tra grandi potenze, consolidate o in ascesa. Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz non ha nascosto i rischi legati a nuove frammentazioni o a una vera e propria de-globalizzazione che «pendono come una spada di Damocle sul mondo». In proposito, è apparsa molto più rassicurante e per certi versi imprevedibile la posizione del vice premier cinese Liu He, il quale è intervenuto ribadendo «la ferma opposizione a qualsiasi forma di unilateralismo e protezionismo» e confermando «l’impegno della Cina per un rafforzamento della cooperazione internazionale in funzione dello sviluppo, della stabilità e della promozione della ri-globalizzazione economica».

Questo puntuale e preciso scenario cui la Cina fa riferimento, rischia di essere compromesso da quanto sta avvenendo con l’invasione russa dell’Ucraina. Ciò spiega perché, pur con tutte le prudenze richieste dagli impegni commerciali con il suo alleato russo, Pechino si sia mossa per prima per favorire un confronto tra le forze in campo. Non sfugge peraltro alla Cina, guardando all’attuale quadro geo-politico, che la guerra russa ha riportato l’America a nuovi e più stretti rapporti con l’Europa e guarito la Nato dalla sua «morte cerebrale», rendendo possibili nuove adesioni. Tutto ciò fa pensare che proprio da Stati Uniti e Cina dipenderà l’avvio di una concreta iniziativa per un piano di pace giusto e durevole.

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