Il «Piano Mattei» conviene all’Ue

Italia. Il «Piano Mattei» evocato dalla presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, punta a stabilire rapporti il più possibile intensi e «alla pari» («non predatori») con i Paesi africani. L’Italia beneficerebbe senza dubbio di un maggiore e più equilibrato sviluppo economico di questo continente, così come di forniture stabili e generose di energia per riequilibrare la (fu) dipendenza dal gas russo.

Eppure esistono anche ragioni strettamente «europeiste» per auspicare che il «Piano Mattei» inizi a muovere i suoi primi passi. Per capire perché, si può partire dalla constatazione che negli ultimi 12 mesi il ministro degli Esteri della Russia, Sergei Lavrov, ha compiuto ben tre missioni ufficiali nel continente africano. L’ultimo di questi viaggi si è concluso pochi giorni fa, con un’esplicita offerta di sostegno militare perfino alla Mauritania, Stato dell’Africa occidentale che nel marzo e nell’ottobre 2022 era stato tra i pochi nell’area a votare all’Onu contro l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, salvo poi a novembre scegliere di astenersi sulla questione delle future riparazioni per i danni inflitti a Kiev.

Il tentativo della Russia d’altronde è ormai esplicito: costruire una propria area d’influenza in Africa, non solo per i 54 voti e per i tre seggi che il continente in questione esprime rispettivamente all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma anche per puntellare la propria economia sanzionata dall’Occidente e allo stesso tempo per esercitare una pressione destabilizzatrice sull’Europa dal fronte meridionale. L’obiettivo privilegiato di questo interventismo, non a caso, è il Sahel, la fascia di territorio che si trova immediatamente a Sud del Sahara, cruciale per il contrasto al terrorismo islamico e ai traffici illegali di esseri umani che alimentano le rotte migratorie verso l’Europa. Le modalità operative sono molteplici ma ruotano prima di tutto attorno all’impiego di milizie private (le famigerate «Wagner» e non solo) per sostenere governi deboli o fazioni in ascesa all’interno dei vari Paesi. Più in generale, la capacità di fornire aiuti militari senza condizionalità contraddistingue la Russia anche rispetto all’inesorabile avanzata della Cina nell’area. Il tutto è ammantato da una retorica vibrante le cui linee guida sono state dettate dallo stesso presidente russo, Vladimir Putin, che lo scorso settembre si è rivolto ai Paesi africani additando il «sistema neocoloniale» perpetrato dagli Occidentali.

Cosa c’entra tutto questo con il Piano Mattei? Se è indubbio che la spregiudicatezza russa, così come la strategia pianificata da Putin per conquistare spazi di agibilità politica nell’area, abbiano di per sé una loro efficacia, come europei non possiamo non chiederci cosa non abbia funzionato nella nostra presenza alle stesse latitudini. La Francia, in particolare, dovrebbe utilmente interrogarsi, considerato per esempio che la scorsa estate Parigi ha dovuto ritirare tra le proteste locali la propria missione antiterrorismo «Barkhane» in Mali, o visto che in Burkina Faso, sempre nel Sahel, è stato appena deposto un Governo giudicato troppo vicino - ancora una volta - a Parigi. Secondo Gilles Paris, editorialista del prestigioso quotidiano d’Oltralpe «Le Monde», nelle bandiere russe sventolate qualche mese fa in strada dagli autori del colpo di Stato in Burkina Faso «occorre senza dubbio leggerci più il disprezzo per una Francia divenuta termine di paragone negativo che non invece una sincera adesione alla Russia».

La politica dell’Eliseo nella fase attuale non miete successi nemmeno sulla sponda meridionale del Mar Mediterraneo, visto che negli scorsi giorni l’Algeria ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore in Francia e il Marocco addirittura ha ritirato il proprio ambasciatore senza sostituirlo a causa di quelle che, a torto o a ragione, hanno giudicato indebite intromissioni nella propria politica interna. Ripensare dunque le relazioni con l’Africa, per Parigi, è una necessità. Agire stavolta a livello europeo e non solo nazionale, magari nell’ambito di un Piano concepito assieme all’Italia e che faccia leva su alcuni punti di forza che Roma ha mostrato di avere in campo diplomatico ed energetico, è un’opportunità.

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