La guerra in Sudan, due anni dimenticati

MONDO. In Sudan è in corso la più grave crisi umanitaria del mondo, in seguito alla guerra iniziata due anni fa, il 15 aprile 2023. Nell’agosto scorso l’Onu ha dichiarato ufficialmente la presenza della carestia nel Nord, nella regione del Darfur, la quinta negli ultimi 40 anni, dopo Etiopia (1984), Corea del Nord (1995), Somalia (2011) e Sud Sudan (2017).

L’effetto drammatico sono oltre 24,6 milioni di persone - più della metà della popolazione - vittime di insicurezza alimentare acuta. Il conflitto è stato innescato dalla rivalità tra due fazioni militari alleate al governo: le Forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid support forces (Rsf) comandate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo. Nel 2019 la massiccia mobilitazione della società civile aveva portato alla rimozione di Omar al-Bashir, segnando la fine di uno dei regimi più longevi in ​​Africa. Il dittatore fu sostituito da Abdollah Hamdok, sostenuto dagli Stati Uniti, che avrebbe dovuto guidare il Paese verso una transizione democratica mai realizzata. Il nuovo primo ministro promosse una riforma dell’esercito per epurare le forze militari rimaste fedeli all’ex potere, come le Rsf che invece hanno messo a segno un golpe il 25 ottobre 2021.

Da allora, il generale al-Burhan ha interrotto la transizione democratica, istituendo il Consiglio sovrano di cui era a capo con Dagalo, secondo in comando. L’alleanza però si è interrotta quando il primo, accettando un accordo internazionale per restituire la guida a un’amministrazione civile in cambio di aiuti economici, ha deciso di far confluire le Rsf nell’esercito regolare. Una scelta avversata da Degalo che temeva di perdere il potere. Da allora le due fazioni si combattono senza alcun riguardo per la popolazione. Gli uomini delle Rapid support forces in particolare saccheggiano, stuprano, praticano pulizia etnica avanzando alla conquista di terre e di supremazia. In Darfur la situazione è peggiore rispetto al 2005, quando la regione fu preda delle violenze dei «janjaweed»: si muore di fame e di esecuzioni di massa. Se entrambe le fazioni sono accusate di crimini di guerra, nel gennaio scorso gli Stati Uniti hanno accusato formalmente le Rsf di aver commesso un genocidio contro le popolazioni non arabe del Darfur. L’accusa, se confermata, fisserebbe un altro tragico primato: un doppio genocidio perpetrato nella regione in meno di 30 anni.

I numeri del conflitto sono agghiaccianti: l’Onu stima un numero di vittime fino a 130mila, 12 milioni di sfollati, 3 milioni di profughi in Egitto, Sud Sudan e Ciad. Secondo l’Unicef, 3 milioni di bambini sotto i cinque anni sono a rischio imminente di epidemie mortali, fra le quali colera, malaria e dengue, a causa del collasso del sistema sanitario; 16,5 milioni di minori, quasi un’intera generazione, non hanno più accesso alla scuola.

Il silenzio del mondo

Questo immane orrore avviene nel silenzio del mondo, oscurato da altri due grandi guerre, russo-ucraina e israelo-palestinese. Quella in Sudan è geograficamente lontana ma con effetti vicini a noi, interessi e influenze esterne. Filippo Grandi, direttore dell’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha segnalato come in Libia siano presenti 250mila sudanesi che potrebbero cercare di raggiungere l’Europa attraverso i pericolosi viaggi nel Mediterraneo.

Il conflitto è alimentato dagli Emirati Arabi, che sostengono le Rapid support forces vendendo armi in cambio dell’oro delle miniere illegali del Darfur - «ripulito» ad Abu Dhabi per finire sui mercati occidentali - e dell’uranio

Il 27 marzo scorso le Forze armate hanno riconquistato il controllo totale della capitale Khartum e si delinea una spartizione del Sudan. Il conflitto è alimentato dagli Emirati Arabi, che sostengono le Rapid support forces vendendo armi in cambio dell’oro delle miniere illegali del Darfur - «ripulito» ad Abu Dhabi per finire sui mercati occidentali - e dell’uranio. Le Rsf stanno conquistando l’ovest, sono legate alla Libia di Haftar (la Cirenaica), al Ciad e alla Repubblica Centrafricana, triade sotto la nuova sfera di influenza della Russia che anche con l’oro sudanese finanzia la guerra in Ucraina. La parte rimanente del Paese è nelle mani delle Forze armate legate ad Arabia Saudita, Egitto e Iran. Il governo britannico ha organizzato una conferenza a Londra alla presenza di Paesi arabi confinanti con il Sudan, ma martedì scorso si sono rifiutati di firmare il comunicato congiunto finale, facendo precipitare le speranze per un tavolo sul cessate il fuoco, chiesto anche dal G7. Le Rsf hanno annunciato la nascita di un governo parallelo. Così nel silenzio del mondo muore un grande Stato africano, sulla pelle di un popolo vittima di indicibili sofferenze, in un’epoca di poteri anarchici, di nuova disumanità e di ambizioni territoriali criminali.

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