La guerra in Ucraina, il solco dell’odio

IL COMMENTO. In Ucraina si combattono due guerre. La prima fronteggia gli eserciti nei quattro oblast annessi alla Russia illegalmente nel settembre scorso (Zaporizhzhia, Kherson, Donetsk e Luhans’k, gli ultimi due nel Donbas) e dei quali il Cremlino non ha il pieno controllo. La seconda non fa più notizia nonostante sia subdola e criminale: ogni notte o all’alba palazzi condominiali ed altri edifici civili, come scuole e ospedali, in città e villaggi lontani dal fronte, vengono colpiti da missili e droni esplosivi di Mosca, generando decine di morti, compresi bambini.

L’obiettivo di questa campagna è seminare il terrore fra la popolazione, convincerla alla resa o alla fuga. Una sorte maligna toccata solo negli ultimi giorni a Odessa, Sumy e Dnipro. A Kherson è stata colpita ancora una cattedrale ortodossa, dopo quella di Odessa, e un ospedale per la seconda volta in 72 ore. L’organizzazione non governativa «Medici senza frontiere» ha emesso un comunicato nel quale ricorda di aver «ripetutamente chiesto la protezione degli ospedali e delle infrastrutture civili e condanna ancora una volta questo oltraggioso attacco a una struttura medica».

Chi ha frequentato l’Ucraina dal giorno dell’invasione, il 24 febbraio 2022, è testimone di un cambiamento dei sentimenti della popolazione aggredita. Lo stupore e l’incredulità caratterizzavano i giudizi nelle prime settimane del nuovo conflitto scatenato da Vladimir Putin: un russo su tre ha parenti o conoscenti ucraini, non erano rari i matrimoni misti e il 36% dei residenti nello Stato invaso parlava il russo. Questo ponte si è spezzato e oggi si registrano risentimento quando non odio verso il popolo confinante, reo di non essersi ribellato all’invasione quando non di sostenerla. Noi occidentali apparteniamo a Stati che hanno portato la guerra altrove anche in anni recenti ma fortunatamente dalla fine del Secondo conflitto mondiale non viviamo la violenza di una guerra sulla nostra pelle. I missili e le bombe distruggono ciò che si era costruito in un’esistenza, uccidono gli affetti più stretti, bloccano le giornate nel costante terrore di morire, ovunque, se perfino gli ospedali sono nel mirino. Induriscono la scorza e il cuore di molti, per difesa. Noi occidentali discutiamo spesso della guerra senza avere il senso del tragico, senza calarci nella carne ferita delle vittime.

Nei talk show si propone di cedere territori al Cremlino in cambio della pace. Ma gli ucraini si oppongono perché temono che la concessione motiverebbe un nuovo, futuro conflitto. E sanno cosa accade ai loro connazionali negli oblast occupati. Un’inchiesta di Associated Press basata su rapporti interni della Croce Rossa internazionale ha fatto luce sui cittadini ucraini detenuti in prigioni russe, in quel 20% dello Stato indipendente e sovrano annesso da Mosca. Sono migliaia di persone senza uno status giuridico per la legge russa. Molte accusate di «trasgressioni» minori, come il parlare ucraino, oppure arrestate senza che vengano formalizzate accuse. Secondo un documento del Cremlino risalente a gennaio e che Associated Press è riuscita a ottenere, il piano è di creare 25 nuove colonie carcerarie entro il 2026 e altri sei centri di detenzione. Inoltre un decreto presidenziale firmato da Putin impone agli ucraini di prendere la cittadinanza russa o di lasciare i territori. Ex prigionieri curati dalla Croce Rossa internazionale hanno raccontato di trasferimenti multipli in varie strutture, dove sono stati sottoposti a torture o hanno assistito a uccisioni. I detenuti sono stati trattenuti per giorni o settimane, ma ci sono stati casi di persone scomparse per oltre un anno. Fatti simili erano stati evidenziati anche da un’inchiesta condotta dal sito indipendente russo «Meduza». Pure le Nazioni Unite e l’Osce hanno documentato il ricorso sistematico alla tortura, così come a deportazioni, trasferimenti forzati ed esecuzioni sommarie. Perché il sentimento dell’odio è stato anche una miccia dell’invasione: anima gli ultra nazionalisti moscoviti per i quali va cancellata l’identità storica degli aggrediti. Gli ucraini non esistono ma sono «piccoli russi».

La separazione netta fra i due popoli ha riguardato anche la religione. La Chiesa greco-cattolica ucraina, principale comunità cristiana in comunione con Roma, ha riformato il suo calendario liturgico: festeggerà il Natale il 25 dicembre (e non più il 7 gennaio) e l’Epifania il 6 gennaio (e non più il 19 gennaio). Finora seguiva il calendario giuliano, lo stesso del Patriarcato di Mosca.

Dobbiamo dedurre che la pace non è possibile? No, ma servono tenacia e senso della giustizia. Su richiesta di Kiev ieri si è aperto a Gedda, in Arabia Saudita, un vertice alla presenza tra gli altri di India, Cina, Brasile, Egitto e Indonesia. Internazionalizzare questi vertici può favorire una pressione maggiore per la fine di un conflitto che ha reso ancora più instabile il mondo. Per ricostruire (i danni all’Ucraina ammontano a 750 miliardi di dollari, secondo una stima parziale della Banca mondiale) e per curare l’odio serviranno anni.

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