L’accordo dei «Brics» non fa così paura

ESTERI. Dopo una lunga serie di allusioni e rivelazioni parziali, dal summit in Sudafrica è arrivata la conferma: i Brics, da cinque che erano dal 2010 (quando il Sudafrica aggiunse la propria S ai Bric, Brasile, Russia, India e Cina, che si erano associati nel 2006), nel 2024 diventeranno più del doppio, con l’ingresso simultaneo di Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti.

E in futuro chissà: forse preso dall’entusiasmo, il vice ministro degli Esteri russo Ryabov ha detto che altri quindici Paesi hanno avviato le pratiche per l’adesione formale. In questi giorni molti hanno provato a tradurre in numeri il cambiamento. E i numeri dicono molto. Nella futura formazione a undici, i Brics varranno circa il 37% del Pil mondiale (per fare il più tipico dei confronti, il G7, cioè Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Usa, ne controlla il 43%) e rappresenteranno il 45% della popolazione mondiale (il G7 il 10%). Dato ancor più interessante: potranno esercitare un largo dominio sulle risorse naturali, soprattutto gas e petrolio e soprattutto se dovessero accogliere anche Paesi come Iraq e Venezuela, che si sono già detti interessati.

Tutto questo, però, serve solo fino a un certo punto per apprezzare una novità geopolitica che, per ampiezza e potenziali implicazioni, ha un solo termine di paragone: la delibera del 13 dicembre 2004 con cui il Consiglio dell’Unione Europea approvò l’inserimento di Cipro, Malta, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovenia, poi seguite anche da Romania e Bulgaria. In Occidente le reazioni, che sono già un tentativo di analisi, sono state in sostanza tre. Il silenzio, che significa: stiamo a vedere. La sottostima: negli Usa è stato scritto che «si tratta solo di un club economico». La paura, tipo «è un’alleanza contro di noi».

Nessuna delle tre convince. La prima perché mostra la sostanziale impreparazione a eventi che ribollono almeno da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, dichiarando apertamente di voler alterare l’equilibrio mondiale vigente. Le altre due perché rivelano l’antica abitudine a leggere un mondo che cambia con occhi che non cambiano, velati dall’eurocentrismo e dalla presunzione che il modello liberal-democratico di stampo anglosassone, con tutti i suoi pregi, sia tuttora accettato senza discutere dal resto del mondo.

I Brics, nonostante la Russia belligerante e la Cina rampante, non possono in nessun caso diventare una specie di santa alleanza anti-Occidente. Per almeno due ragioni. La prima è che molti dei Paesi che ne fanno o ne faranno parte, hanno tutta l’intenzione e l’interesse a conservare buoni rapporti con Usa ed Europa. Tra i Brics attuali pensiamo per esempio all’India, grande amica degli Usa e vero baluardo economico, politico e umano (la sua popolazione è più ampia e più giovane) della Cina in Asia. La stessa India che compra gas e petrolio a prezzi di favore dalla Russia assediata dalle sanzioni e manda il premier Modi a dire a Putin che «non è più tempo di guerre». E tra i Brics futuri pensiamo ad Arabia Saudita ed Egitto, da lungo tempo alleati politici degli Usa e partner finanziari e commerciali dei Paesi europei. La seconda ragione per cui i Brics non formeranno mai un vero fronte antioccidentale sta nel fatto che mancano di un Paese leader come sono gli Usa per l’Occidente. Non può esserlo la Cina, così diversa e lontana (l’unico altro Paese asiatico è l’India, sua rivale), tantomeno la Russia del nazionalismo e del militarismo e dell’ormai imperante economia di guerra. L’India cresce impetuosamente ma ha ancora tanta strada da fare e non è interessata a un ruolo simile.

Altrettanto inadeguata risulta l’idea che i Brics siano un’associazione di nazioni più o meno arricchite che vogliono fare ancor più cassa. Le nuove adesioni mostrano un’altra cosa: sono sempre più numerosi i Paesi che vogliono avere mani più libere nella gestione del proprio futuro e che sempre più faticano a riconoscersi nelle istituzioni occidentali e nei criteri che le guidano. È giusto? È sbagliato? Quelle istituzioni hanno portato noi a godere di benessere e diritti, ma siamo sicuri che questo valga anche per gli altri? Che sia questa, per africani, mediorientali, latinoamericani e asiatici, l’unica immagine con cui il nostro mondo si presenta? Non sappiamo se per il peggio o per il meglio, ma il mondo sta cambiando. Sarà bene rendersene conto, e lavorare con intelligenza, prima che sia cambiato senza di noi.

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